Tornano le Ombre sullo Hudson
Di Anita Mancia
Un libro avvincente questo Ombre sullo Hudson di Isaac Bashevic Singer, tradotto dall’yiddish in inglese soltanto nel 1998 benchè fosse stato scritto fra il 1957 e il 1958 sul periodico newyorkese «Forwerts». I caratteri che Singer crea sono vitali e passionali insieme e benchè tutti mossi da un’ansia costante di vivere e di amare al di là delle regole della religione ebraica, rispondono ad un’unica e capitale questione: come può il mondo ebraico sopravvivere nella sua unicità all’assimilazione alle culture in cui si è innervato da secoli, prima quelle europee e soprattutto tedesca, che lo ha portato alla distruzione, e poi a quella americana dove ha cercato di rinascere e di rivitalizzarsi? Il punto è sempre quello: che cosa faceva Dio quando sei milioni di ebrei venivano gasati e obbligati prima di morire a scavare le loro fosse nei lager tedeschi?
Boris Makaver emigrato in America con la figlia Anna non è assimilato alla cultura che lo ha accolto, ma sua figlia sì. Ha una relazione con un ebreo, Hertz Grein, uomo inquieto, il quale a sua volta figlio di uno scriba religioso si era iscritto in un liceo yiddish-polacco e poi all’università preferendo alla Gemarah gli studi laici, secolari. Sposato con Leah, che non era credente, aveva avuto due figli, Jack e Anita, adolescenti e anch’essi lontani dalla cultura ebraica. Ora Grein, uomo sposato e con figli adolescenti, ha una relazione con la figlia di Makaver, Anna, che a sua volta era sposata con Luria, e un’altra relazione con Esther, viveva quindi contro la legge ebraica. Da questa storia se ne dipanano altre, per esempio quella dell’abbandono di Anna da parte di Stanislaw Luria, da lui stesso provocato, e il rifiuto di Boris, suo padre, di accettare questa situazione immorale in cui la figlia, che egli disereda e disconosce, inizia a vivere. Tutti gli ebrei del lungo romanzo sono assetati di vivere e Singer ce li presenta con un tono ironico, cifra costante del romanzo in cui tutti sono inseriti.
Anche se Anna è ben contenta di abbandonare Luria e di andare quasi alla ventura a vivere con Grein, non riesce ad essere felice. E’ morsa da un senso di colpa nei riguardi del marito che, isolato, si lascia andare e nel ricordo della moglie morta in Polonia durante un rastrellamento di ebrei, finisce davvero per morire lui stesso, dopo essere stato raggiunto nella sua solitudine dal primo marito di Anna. A sua volta Grein che per Anna è disposto a lasciare Leah, senza per altro ottenerne il divorzio – situazione parallela a quella di Anna con Luria – ha un forte rimorso nei riguardi della moglie, malata di cancro, e dei figli che crescono in un mondo a parte, lontanissimo da quello ebraico di provenienza: Jack è fidanzato con una gentile, Patricia, e Anita con un tedesco di simpatie progressiste ma discendente da avi nazisti. Anche il migliore amico di Boris, Margolin, senza che lui lo sappia è sposato con una donna di educazione nazista ed ha una figlia a cui è stato instillato fin dalla tenera età l’odio per gli ebrei. Tutti questi caratteri, persone od ombre sulla New York degli anni quaranta sono assimilati con il mondo che li ha accolti, ma due di essi, Boris e soprattutto Grein sentono fortemente il richiamo dell’ebraismo, al punto che Grein, quando viene a sapere della morte del rivale Luria e della malattia della moglie Leah, si sente colpevole, un assassino, e decide di lasciare Anna e di continuare a vivere con Leah, anche se con lei, non credente, non ha molto da condividere. Lo rode il tarlo della sua appartenenza da lui stesso negata al mondo ebraico e dai mezzi che ha o potrebbe avere per fare penitenza e convertirsi. Che cosa deve fare un ebreo che vive in un contesto che lo spinge all’assimilazione per ritornare a essere ciò che è? Per Grein c’è una sola risposta: deve isolarsi.
E’ quasi commovente la descrizione di Grein che si appresta, da solo, a preparare lo Shabbat. Per lui l’essenza dell’ebraismo era: «che la gente deve vivere in modo da non costruire la propria felicità sulle disgrazie altrui. Gli esseri umani, creature di Dio, non devono macchiarsi di peccati gli uni nei confronti degli altri, ma aiutarsi a vicenda il più possibile. Questa era l’essenza della Torah, del cristianesimo, del buddhismo e di tutte le religioni» 445. Grein in questa ricerca della religiosità autentica incontra insieme tutte le religioni. Ed è qui forse il punto più elevato del romanzo-teologico di Singer. Ma che fare per essere un vero ebreo e come osservare lo shabbat? Grein decide di trascorrerlo così come avrebbe fatto suo padre. Egli dice: «Non si può servire Dio in astratto, occorre avere una direzione, un cammino da seguire. Proverò a osservare almeno questo Shabbat. Come si sarebbe comportato mio padre nella mia situazione? » 448. E qui descrive tutti i preparativi per una festa che non preparerà con gli altri ma da solo. Diverso è lo shabbat di Boris Makaver ed infatti segue il capitolo precedente dello Shabbat di Grein. Qui veniamo a sapere del dottor Margolin, amico di Boris e di Grein, e della sua famiglia tedesca. Il destino per dir così, di Grein è quello di cercare Dio per tutta la vita, anche se il risultato di questa ricerca non è scontato che sarà positivo. Dice Margolin: «Allora ha più fede lei della maggior parte degli ortodossi. Ma cosa se ne fa di questa fede? Se Dio ha deciso di restare in silencio nessuno può costringerlo a parlare» 523.
Diversa è la situazione di Boris. Questi sposerà Frieda e da lei avrà un figlio, che intende allevare nella tradizione ebraica. Ma anche qui c’è un neo. Forse il bambino è malato, non è normale come gli altri perché Frieda lo ha avuto in tarda età. Frieda incontra da Boris un suo innamorato di un tempo, che le rivela di essere stato attratto dal Nuovo Testamento, dalla assenza in esso di brutalità. Ma Frieda obietta che i nazisti hanno sterminato sei milioni di ebrei e i cristiani sono rimasti in silenzio. Anfang in realtà, secondo Frieda e secondo l’autore, è molto confuso.
Quando Frieda parla con il dottor Margolin dello stato di salute del figlio che ancora non parla e che non sembra essere normale, questi le cita la Gemarah: «Là dove sussiste sia la certezza che il dubbio, bisogna aggrapparsi alla certezza. Molto probailmente il bambino è normale, ma il minimo dubbio in proposito potrebbe uccidere suo marito E il primo dovere che lei ha è nei suoi confronti» 626. Trasmettere una sana eredità ebraica è una operazione difficile.
Il libro si chiude su una lettera di Hertz Dovid Grein all’amico Moris Gombiner conosciuto in Florida al tempo della relazione con Anna. Grein si rivela per quello che è: un convertito. Sa che nel fondo egli è una belva, ma ha fede: «Un tratto essenziale della fede che non ho mai perduto è la certezza nell’esistenza e nell’unità del Creatore. Sono anche propenso a credere in una Divina Provvidenza che si prende cura di ciascun individuo. Che cosa importa chi ci ha dato la Torah? La Torah è l’unico insegnamento efficace che abbiamo su come imbrigliare la belva umana. Nessuno l’ha addomesticata meglio degli ebrei, intendo i veri ebrei, quelli delle Scritture, della Gemarah, dello Shulchan Arukh, dei trattati di morale. I cristiani hanno un pugno di monaci e suore. Noi abbiamo creato un intero popolo al servizio di Dio. Un tempo siamo stati un popolo santo, Grazie a Dio, una traccia di quel popolo è rimasta» 632. Dunque un romanzo ha creato questo libro che è mosso da una ragione più profonda e teologica, rendere conto di che cosa è l’ebraismo. Il cui nocciolo è, come si legge nei proverbi: «Non seguire la loro via. L’enfasi è sul non. Non può esserci alcun legame tra un animale legato e uno che vaga libero» 633. L’essenza dell’ebraismo, secondo Singer, il suo nocciolo, è l’isolamento. Originale conclusione che conduce il lettore ad una riflessione.
Biblioteca Adelphi
Letteratura ebraica
Adelphi
2021
633 p., brossura