Lo scialle di Marie Dudon. Denaro e desiderio nei racconti di Simenon
Di Geraldine Meyer
Leggere i racconti di Simenon è, ogni volta, scoperta e conferma. Scoperta degli infiniti rivoli di chiaroscuro di cui è fatta la vita e conferma della straordinaria capacità dello scrittore di intingere la penna in essi. Non fa eccezione questa nuova raccolta, Lo scialle di Marie Dudon, dieci racconti di cui otto inediti in Italia. Scritti in Vandea nel 1940 furono pubblicati sulla rivista Gringoire e ora riuniti in un nuovo libro da Adelphi.
Dieci racconti attraverso i quali si scopre quasi una sorta di simmetria tra gli incipit e la conclusione di ciascuno di essi. Inizi che, in poche frasi, si dipanano in una storia che si conclude con la stessa sobria e quasi scarna tessitura di parole. Leggete qua, per esempio, l’incipit del primo, bellissimo racconto Il dito di Barraquier: “Una specie di luna rossa era sospesa davanti a loro nella notte umida: l’orologio di una chiesa o di un edificio pubblico.” Un oggetto, una luce che non si sa esattamente da dove provenga. E la conclusione: “E intanto, nella gabbia degli imputati, dove le sembrava lontano, lontanissimo, come in un cannocchiale tenuto dal lato sbagliato.” E, in mezzo, una storia in cui, “una specie di luna rossa” e un “cannocchiale tenuto dal lato sbagliato” funzionano quasi come equivoco, come l’equivoco che apre e chiude un percorso alla fine del quale la donna si chiederà cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. E lo stesso, se ci si fa attenzione, accade negli altri racconti.
Sono uomini e donne, quelli raccontati in questo Lo scialle di Marie Dudon, colti nel momento del desiderio di cambiare ma incapaci di portare fino in fondo quel desiderio stesso. Per motivi diversi, per diversi sbandamenti del destino, qualcosa sembra mancare sempre, proprio sulla soglia del cambiamento. Un desiderio insufficiente. È questo, probabilmente, il filo rosso di questi racconti: il desiderio che assume, il volto e le azioni dei diversi personaggi, indossando a volte la ribellione, a volte la voglia di riscatto, a volte il bisogno di una redenzione che non arriva. Sono uomini e donne la cui vita sembra un balbettio che sembra volersi fare urlo per poi tornare all’ombra di qualcosa di non detto o di non fatto. Ma è anche la cupidigia, l’illusione che il denaro possa giustificare la strumentalizzazione perfino di due poveri anziani, come nel durissimo e malinconico La vecchia coppia di Cherbourg. Già, il denaro, se parla spesso in questo libro ed è un elemento su cui, leggendo, viene da riflettere con attenzione.
Figure femminili che diventano archetipi, come spesso accade nei libri di Simenon, dettagli che vengono a concentrare su se stessi significati e sviluppi, atmosfere, tratti scarni per dipingere un’intera vita. Amarezza, malinconia e tanta vitalità. Simenon in questi, come in tutti gli altri suoi racconti, affida agli oggetti, ai subitanei gesti, ai repentini furori, al rinchiudersi nella sconfitta, tutto un portato di vite e esistenze, di cambiamenti che son lì, proprio sulla soglia, ma che sfuggono, divenendo altro o, malinconicamente, tornando ad essere ciò che son sempre stati.
Anche in questa raccolta di racconti ci si trova a fare i conti con l’umanità e con la capacità di Simenon di portarci nelle sue contraddizioni, nelle sue miserie, nella eterna fatica dei rapporti umani. Bella e curata, come in tutte le opere di Simenon fino a qui pubblicate da Adelphi, la traduzione, qui di Marina Di Leo.
Gli Adelphi
Racconti
Adelphi
2021
172 p., brossura