Una Basilicata tra vendette e rituali arcaici. Nero lucano
Di Geraldine Meyer
In una Basilicata sospesa tra malintesa modernità e riti arcaici una serie di orribili omicidi punteggiano la nuova storia di Viola Guarino, anatomopatologa. Donna volitiva, attaccata alla sua indipendenza con la stessa agguerrita tenacia con cui si stringe alla sella della sua Ducati. In un piccolo paese lucano il cadavere di un uomo viene ritrovato con la testa spaccata. Tra le mani una cartina geografica della Basilicata. Prende le mosse da qui la storia di Nero lucano, il nuovo giallo di Piera Carlomagno che ci consegna una vicenda in cui i lati più oscuri dell’animo umano si intrecciano a quelli, altrettanto oscuri, di una terra bella e dannata, martoriata da speculazioni di ogni sorta, vittima di una cappa culturale fatta di poteri, massoneria, soldi e rassegnazione.
La trama, ben congegnata, costruita con maestria per invogliare a non chiudere il libro fino alla fine, ci conduce in una indagine che è sì criminologica ma, anche e soprattutto, umana, politica e sociale. Ogni personaggio viene a far parte di un disegno che si delinea con un ritmo che va facendosi sempre più incalzante man mano che le pagine scorrono. Ed è un disegno in cui, tra chiaro scuri, il lettore è condotto tra le spire della lucida follia di un serial killer e quella di una regione in cui l’arcaico sembra non essere mai finito, andando a vestire una fame di soldi e speculazioni che ha solo cambiato foggia ma resta sempre quello di una violenza che appare parte stessa di quella terra, dei sassi materani e della selvaggia bellezza dei luoghi. Quasi un contrappasso di quella stessa bellezza.
Viola stessa sembra muoversi tra oggi e ieri, erede di una tradizione di donne dedite a rituali antichi che sanno di stregoneria, tradizione, istinto, magia e vitalistica, per quanto irrazionale, umanità. Un romanzo in cui le donne sono il motore, tra bellezze languide, ambigue, forti, vendicative o fragili. Tra madonne nere e pozzi petroliferi quello che ci viene raccontato in Nero lucano è un sud in cui il provincialismo, come direbbe Andrea De Consoli, non è un passo zoppo ma la vera e autentica natura di una storia e del modo di raccontarla. Non ha bisogno, Piera Carlomagno, di scimmiottare i profiler americani, le dinamiche d’oltreoceano. No, non lo fa, anzi. Costruisce una storia che, per il modo con cui sono raccontati i personaggi, per il modo con cui si relazionano l’uno all’altro e con cui si relazionano ai luoghi, ci appaiono come eredi di una tradizione tipicamente e assolutamente italiana.
Una storia forte quella di Nero lucano, nei colori di un inverno freddo e cupo, e negli scavi dentro un mondo che è riconoscibile senza diventare un cliché. Che la cupidigia affarista stia violentando la Basilicata è qualcosa di noto che, però, diventa materia perfetta per un giallo che è denuncia. In perfetto equilibrio con la tessitura delle psicologie dei personaggi. Ecco perché anche le parti, bellissime, in cui Viola parla con sua nonna, vecchia lamentatrice (colei che assume su di sé il dolore e il pianto nei funerali) diventano funzionali alla dinamica del racconto. Perché Nero lucano racconta sì un giallo che però è eterno perché antico. Nero come il petrolio e rosso come il sangue. Come ciò che non si dimentica.
Giallo
Solferino
2021
352 p., brossura