Ai sopravvissuti spareremo ancora. Un giorno di ordinaria follia
Di Geraldine Meyer
La provincia italiana. Quel nugolo di forze, costruttive e distruttive. Quel campo minato in cui, a volte, si trovano sprazzi di bellezza e, a volte, buchi neri di disperazione. Questi ultimi sono quelli che ci racconta Claudio Lagomarsini nel suo bell’esordio Ai sopravvissuti spareremo ancora, titolo che riprende lo slogan con cui, in America, si minaccia chi tenta di violare la proprietà privata. Titolo non scelto a caso.
Un giovane uomo è costretto a tornare nella casa di famiglia, in un imprecisato luogo tra Appennino e Alpi Apuane, per metterla in vendita. Qui, l’irrisolto della sua vita, esplode con il ritrovamento di alcuni quaderni su cui, il fratello Marcello, racconta quella fatidica estate del 2002. Sarà la sua la voce narrante del libro, racconto nel racconto. E sarà una voce che ci parla di un mondo di arcaismo (che nulla ha a che vedere con l’arcaico), di forze animalesche sorde ad ogni ragionevolezza. Una voce che ci parla di maschilismo, di sessismo, di nauseanti rituali di supremazia e di dominio. Di donne schiacciate dall’impossibilità di vivere un desiderio o, ancor più, quasi incapaci di desiderare e di donne che, per sopravvivere, scimmiottano un desiderio incapace di volare.
Un microcosmo all’interno di un altro microcosmo. Entrambi cluastrofobici, entrambi esplosivi. Marcello nei suoi quaderni ci racconta di un’estate fatta di cene nel giardino di casa, di feste annoiate di alcol e pasticche, di furti e di pettegolezzi volgari, di gesti eterni e vuoti. A fare da protagonisti una madre divorziata che vive con un uomo gretto, Wayne, una nonna ottantenne rimasta ragazzina, che parla di sesso come fosse un circo, che vive una relazione con il Tordo, panciuto e volgare, con una moglie inferma. Di un padre scappato in Brasile per non morire soffocato dal nulla.
Lagomarsini si fa cantore e cronista di un angolo, scuro eppure per nulla inedito, di un ambiente in cui la sensibilità sembra destinata a soccombere, in cui le domande inesauste più che risposte trovano rituali bestiali, che sono muri, che sono pietre che portano in fondo. Un ambiente in cui, se si guarda bene, ogni cosa, ogni aspetto della vita si riduce a una questione di “proprietà privata”, di cose, persone, sentimenti. Una proprietà privata che necessità però di un ipocrita e melenso palcoscenico di luoghi comuni, di spettacoli di normale miseria. Troppo. Troppo per quel fratello mai davvero conosciuto e ritrovato nelle parole di tanti quaderni con pagine strappate e cose dette e non dette. Quel fratello conosciuto e, finalmente, riconosciuto come specchio del proprio stesso disagio.
È, questo Ai sopravvissuti spareremo ancora, un libro che dipinge senza giudicare, che fotografa lasciando al lettore la possibilità di scegliere l’inquadratura. Che raccoglie materiale per l’istruttoria sapendo che, in casi come questo, è difficile trovare un solo colpevole. Infatti scrive Lagomarsini: “Da un po’ di tempo, un avvocato che arringa nel mio tribunale notturno ripete la stessa solfa. L’assassino, sostiene lui, non è nessuno di noi. È l’intonaco color pesca, la siepe del pitosforo, il ghiaino bianco delle nostre case. […] Presi da soli, sono tutti ingredienti innocui, vagamente pittoreschi. Insieme hanno creato una miscela di cui nessuno poteva sospettare il potenziale esplosivo.” E la vera chiave di lettura è tutta lì, nel pittoresco. In quel ghigno distorto che a volte non si vede. Che a volte percepiscono solo i puri di cuore. Quei sopravvissuti a cui si spara ancora
Narrativa
Fazi Editore
2020
205 p., brossura