Miti, luci ed ombre del Caravaggio
Di Gianrico Gualtieri
Michelangelo Merisi (Milano 1571-Porto Ercole 1610), detto il Caravaggio dal luogo natale, è sicuramente uno degli artisti più noti e più importanti della tradizione occidentale, e non solo in Italia. La sua arte, comunque sia stata recepita e compresa, ha prodotto echi anche in zone culturali da lui lontanissime e in apparenza estranee. Questa grande notorietà e diffusione culturale hanno portato però con loro, come sempre accade in questi casi, anche una dose notevole di superfetazioni culturali con i loro miti, le loro semplificazioni e talvolta addirittura distorsioni ; questo si è avuto da parte di tutti, dell’uomo della strada come dello studioso, semplicemente perchè le conoscenze si stratificano, come una serie di strati di pittura che rivestono una forma, fino ad ottundere e in certi casi rendere irriconoscibili le vere forme, proporzioni e contorni dell’oggetto in questione.
Nei limiti concessi dallo spazio di un articolo, tenteremo di restituire alle sue corrette proporzioni e coordinate il « fenomeno Caravaggio », chiarendo in cosa esattamente la sua figura e la sua opera siano state eccezionali, ed anche quali siano state le caratteristiche e i limiti, perchè no, della sua personalità e del suo lavoro.
Caravaggio come artista è figlio della cultura lombarda, della quale due aspetti saranno per lui fonte d’ispirazione : una intensa spiritualità vicina anche agli umili e agli esclusi e l’impronta durevole della figura e dell’opera di Leonardo da Vinci.
Figlio di un « maestro di fabbrica », una specie di sovrintendente all’attività edilizia, il Merisi avrebbe portato, secondo la parola di un suo biografo, « lo schifo della calce », sarebbe cioè stato avviato almeno ai rudimenti del mestiere di muratore. Verrà poi messo a bottega da un pittore, Simone Peterzano, un manierista che si autoproclamava, non si sa con quanto fondamento, « allievo di Tiziano ». Al termine della sua formazione e dopo la morte del padre, il Merisi decide di tentare la fortuna partendo alla volta di Roma, dove ha uno zio sacerdote che potrà, forse, dargli una mano.
I miti, che diventano poi luoghi comuni, sulla figura dell’artista e sul suo lavoro, sono esagerazioni talvolta portate al parossismo e interpretate col filtro dei valori e tendenze attuali. Hanno tuttavia un loro fondo di verità, il problema è spesso di andare a scavare con un minimo di oggettività e senso critico per ricostruire il vero stato di cose validamente fondato su testimonianze, date, fatti etc.
Passiamo in rassegna alcuni di questi « miti » correggendoli con quella che noi riteniamo una lettura più corretta, corredandola degli opportuni elementi che permetteranno di meglio comprendere e situare il Maestro e il suo lavoro. A questo scopo dovremo anche fornire alcuni elementi sulla personalità del Merisi, che di solito non sono menzionati ma che sono a nostro avviso importanti per comprenderlo meglio.
- Caravaggio inventore della natura morta
La cultura lombarda è stato uno dei terreni di coltura per la nascita della natura morta, la prima natura morta datata in Europa è di Fede Galizia, una milanese, e reca la data 1602. Sicuramente a questi sviluppi non erano state estranee la ricerca naturalistica di Leonardo e una spiritualità che considerava la realtà sensibile come una trama di segni e simboli con un loro significato spirituale (realtà visibile come segno di quella invisibile). Nel suo apprendistato Caravaggio doveva essere stato istruito anche sul come dipingere frutta e fiori, dato che tali soggetti dovevano ormai essere trattati comunemente anche come soggetti isolati di dipinti. Il problema, come abbiamo accennato anche altrove, per la natura morta come nuovo genere è che tendeva ad essere rigettata o quanto meno ostacolata in ambienti molto classici o un po’ arretrati e marginali, che guardavano con sospetto questo tipo di rappresentazioni. Bisognava da un lato saperle trattare magistralmente e dall’altro, saperle sapientemente rivestire di un contenuto spirituale e simbolico, capace di parlare alla cultura e all’erudizione di una clientela colta e facoltosa.
È esattamente quello che farà, con grande intelligenza e senso dell’opportunità, il Merisi. Giunto a Roma nel 1592, inizialmente troverà impiego presso pittori manieristi (come Giuseppe Cesari detto Il Cavalier d’Arpino) che lo metteranno all’opera per dipingere alla giornata « teste di santi », era pagato un tanto a testa e doveva guadagnarsi da vivere in questo modo. Ma talvolta capitava che in una composizione più vasta vi fossero dei fiori, e senza dubbio il Nostro doveva aver fatto presente la capacità acquisita in tali soggetti per cui veniva validamente impiegato a tale scopo. È
significativo di quanto tale abilità stentasse tuttavia, pur essendo ammirata, ad affermarsi il fatto che ci sia pervenuto un solo esempio di natura morta autonoma attribuibile con certezza al Caravaggio : la Canestra oggi conservata alla Pinacoteca Ambrosiana (databile tra il 1594 e il 1598). Canestra che venne dipinta su una tela già utilizzata per un motivo di grottesche da un collega e molto probabilmente conoscente, se non proprio amico, di Caravaggio, Prosperino delle Grottesche.
E nel seguito del percorso del Merisi, i brani di natura morta resteranno episodici, dato anche il carattere sempre più essenziale e stringato del linguaggio caravaggesco, in stretta concomitanza con le circostanze drammatiche che facevano da sfondo alla sua pittura.
Caravaggio non fu dunque l’inventore della natura morta ma le diede un forte impulso in un ambiente, come quello di Roma, che le opponeva forte resistenza. I pur rari frammenti di natura morta del primo periodo di attività dell’artista saranno di esempio e di stimolo per altri artisti pronti a spingere ancora in quella direzione in ambienti come Roma e Napoli.
- Caravaggio inventore del tenebrismo
L’utilizzo di fondi scuri era già stato l’appannaggio non soltanto di Leonardo e del seguito di pittori leonardeschi, ma anche del manierismo, che nella « maniera » di Leonardo e di Michelangelo vedeva appunto un modello da imitare e reinterpretare. E gli inizi del Merisi non sono certo caratterizzati dall’uso di fondi molto scuri. Qui come altrove l’abilità del pittore lombardo non consiste in una semplice invenzione formale o capacità di resa ottica, pur essenziali alla qualità del lavoro artistico ; ma nel saper meditare attentamente tenendo presente il contesto e selezionando
l’artificio « scenico » che metterà meglio in risalto il significato desiderato. Siamo agli inizi di un atteggiamento sinestetico che vedrà poi, ad esempio a Napoli, il Ribera e il Fanzago influenzarsi reciprocamente tra pittura e scultura. Certamente Caravaggio doveva riflettere molto sul teatro, se come è stato detto ad un certo punto adotta il principio di unità di tempo, di luogo e di spazio prescritto da Aristotele per certe rappresentazioni. Lo scurirsi dei fondi è proporzionale all’esigenza di accentuare la tensione drammatica della scena. Nei primi dipinti, come il Fanciullo con canestra di frutta, la luce sembra circondare i volumi e creare uno spazio intorno alle figure, mentre più andiamo avanti, fino alle opere del periodo siciliano e maltese, e più abbiamo l’impressione che le figure siano circondate dall’ombra, che le minaccia e tende a riassorbirle.
C’è inoltre un altro aspetto del cosiddetto tenebrismo, per approfondirlo dobbiamo tornare al collegamento con Leonardo cui abbiamo accennato all’inizio. Come Leonardo, Caravaggio non amava l’affresco. In Leonardo tale antipatia era motivata dal fatto che l’affresco non consente grande ricerca di effetti nella resa delle diverse superfici, risolvendosi molto in campiture piatte con poco volume e poche luci ed ombre, senza velature né trasparenze dunque con scarsa profondità.
Antipatia che per Caravaggio, cui senza dubbio « lo schifo della calce » era bastato e avanzato in gioventù, era rafforzata da un’avversione al disegno che è evidente nel suo lavoro e nella sua tecnica. Nonostante egli fosse stato allievo del Peterzano, che certo in quanto manierista doveva disegnare molto, il Merisi, forse disgustato proprio dalla gran mole di disegni alla quale certamente il suo maestro l’aveva obbligato, dipinge direttamente, senza alcuno studio preliminare, forse in ciò memore proprio di Tiziano e a lui più vicino del suo maestro Peterzano. Alcune informazioni sulla tecnica del Vecellio, infatti, ci sono state tramandate da Palma il Giovane che descrive come Tiziano procedesse operando in uno strato di rosso ossido fresco chiamato « il letto della pittura » nel quale operava con dei giallini formando il primo abbozzo che lasciava poi seccare, riprendendolo dopo mesi per correggerlo e una volta asciutto, vi ritornava per completare l’opera con le velature. Caravaggio non soltanto fa a meno del disegno, ma cerca anche di risolvere nel più breve tempo possibile l’operazione pittorica, mirando ad un risultato finale quasi istantaneo.
Per questo si devono profondere nel lavoro un’energia e una capacità quasi sovrumane, e una cosa che può aiutare molto è costruire le forme e i volumi per mezzo del contrasto luci/ombre.
I mezzi espressivi utilizzati dall’artista se da un lato corrispondono agli scopi che si prefigge, illustrandoli, dall’altro sono il risultato del suo modo di lavorare e del suo temperamento, come vedremo quando tra poco forniremo altri elementi sulla sua personalità e sul suo carattere.
- Caravaggio pittore « violento » e « maledetto »
Vi è una lettura tutta « moderna » del Caravaggio che, radicata anche in miti romantici di stampo ottocentesco sull’intreccio tra arte e vita, sull’artista tenebroso e « controcorrente » dal destino tragico, protagonista di episodi violenti etc. etc., insiste molto sulla personalità dell’artista,
« ricamandoci » parecchio al modo dei giornali scandalistici, con tesi d’effetto che finiscono col creare dei luoghi comuni presso il grande pubblico.
Cosa c’è di vero ? Della validità generale di quei miti, poco o niente, e nel caso del Caravaggio ancora meno. Vediamo perchè. Innanzitutto è falsa la tesi che la vita dell’artista e la sua opera siano il riflesso di una sofferenza interiore legata all’arte, intesa come ricerca spasmodica e
« tormentata ». Il legame tra arte e vita esiste certo, ma si tratta di una correlazione e non di un legame così stretto come vorrebbero le tesi dei romantici. L’arte è un mestiere, per il quale certo bisogna possedere delle disposizioni, e farne un impegno serio se si vuol raggiungere un certo livello, ma la soddisfazione o l’insoddisfazione e di conseguenza la maggiore o minore sofferenza non dipendono dall’arte, dipendono casomai da problemi non risolti con se stessi e di riflesso, con gli altri e col mondo. In altri termini, nessuno è tormentato a causa della sua ricerca artistica o se lo è, significa che c’è qualcosa che non va o in lui o nel modo di intendere il suo impegno in arte o ancora nel modo in cui nel mondo si intende l’arte.
Caravaggio, secondo la classificazione del trattato di caratterologia di René Le Senne, appartiene al tipo « nervoso », caratterizzato da una scarsa tendenza all’attività e da una forte emotività. A ciò si deve aggiungere, come tratto peculiare alla sua personalità, un forte complesso d’inferiorità che lo
portava a sentirsi poco apprezzato ; complesso che andava fino alla paranoia e lo portava a intepretare come attacco contro di lui anche la minima frase innocente, con reazioni sproporzionate e conseguenze drammatiche. Maurizio Calvesi ha, molto opportunamente, ridimensionato molti falsi miti inerenti alla figura del Caravaggio e ha ricordato che all’epoca la violenza era molto comune, facendo l’esempio del commediografo Marlowe che finì pugnalato in una rissa. Noi qui vorremmo sottolineare che la « violenza » del Caravaggio era legata a problemi suoi personali le cui conseguenze hanno trovato certo un riflesso nella sua arte, ma l’arte non ne è il prodotto.
All’epoca la concorrenza in arte era molto dura, gli artisti cercavano di conquistarsi un posto e di consolidare la propria posizione, ad esempio sposando la figlia di un maestro già affermato in maniera da avere accesso ad una clientela e possibili commissioni. In questo gli artisti spesso andavano oltre il segno, come prova l’episodio del Domenichino a Napoli che era inviso all’ambiente artistico locale e si dice sia stato addirittura avvelenato.
La « violenza » del Caravaggio era il risultato del fatto che riteneva sempre di essere considerato come « inferiore » e di essere trattato ingiustamente, non sopportava niente, nessuna osservazione, anche e forse soprattutto quando aveva torto. Così il suo soggiorno romano è tutto costellato di episodi e litigi grandi e piccoli che mostrano una persona poco capace di inserirsi socialmente e di gestire la propria vita cercando di semplificare e risolvere i problemi. Lui i problemi se li andava a cercare. Non paga l’affitto e allora l’affittacamere gli preclude l’accesso alla stanza bloccando i suoi effetti personali, lui dalla strada lancia sassi contro le persiane chiuse. Interpellato dalle guardie risponde in malo modo al sergente che lo interroga e passa la notte in prigione. Dà una botta in testa al garzone dell’osteria che gli aveva dato una risposta, a suo parere, poco rispettosa… e via di seguito, fino alla lite su una partita di pallacorda, il tennis dell’epoca, lite sfociata in duello nel quale ci scappò il morto, un personaggio importante. E il Merisi dovette fuggire da Roma. Come si vede una violenza legata all’essere una « testa calda » e non certo alle esigenze della ricerca artistica. Come scriveva un suo biografo, Karel Van Mander : «non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo di dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare. ».
La grandezza artistica di Caravaggio si è manifestata malgrado i disturbi della sua personalità e non grazie ad essi. Come sempre, il senso di inferiorità si accompagnava in lui ad una pretesa superiorità che lo portava a ritenere di non aver bisogno di una vita regolata e a considerarsi facilmente superiore agli altri e a disprezzarli e deriderli (vedi episodio delle poesie diffamatorie contro Giovanni Baglione). Questi atteggiamenti non hanno mancato di dare i loro frutti facendogli vivere una vita problematica fin dal suo arrivo a Roma, nel 1592, e che diverrà un incubo dal 1606 al 1610, anno della sua morte. Ma tutto questo riguarda l’uomo Caravaggio ed è un indebito amalgama mescolare vicende tragiche della vita e grandezza dell’arte. L’arte va giudicata in base alla sua validità come arte, cioè sulla base di parametri di disegno, di composizione, di colore, di espressione, non in base alla vita che potrebbe anche non esserci nota, come spesso avviene.
Conclusioni
Al termine della nostra rassegna di alcuni dei « miti » formatisi intorno alla figura del Merisi, vorremmo aggiungere qualche altro elemento. Abbiamo parlato a sufficienza dell’uomo Caravaggio, ma cosa si può dire dell’artista ? Il Seicento è l’apogeo della nostra civiltà, e come abbiamo osservato altrove, è un apogeo critico, che segna un punto di non ritorno nella storia dell’arte occidentale. È nel Seicento che si incrina la concezione tradizionale dell’arte con le sue necessità di apprendistato e di riferimenti culturali. Caravaggio è forse l’artista nel quale questi cambiamenti divengono più evidenti. Il suo naturalismo è vigoroso e potente e si costruisce senza ricorso a modelli e a scuole, non disegna, non fa studi, non segue regole, ricercando il principio della massima efficacità nel minor tempo possibile. Questo atteggiamento costituisce la sua grandezza ma anche il suo limite e fa sì che paradossalmente, tutto quello che si è detto di lui come artista, in positivo e in negativo, ha qualcosa di vero. Mentre ad esempio Karel Van Mander scriveva :
« …non esegue un solo tratto senza farlo direttamente dal modello vivo. E questa non è una cattiva via per giungere a buon fine, perché dipingere servendosi di disegni (anche se tratti dal vero) non è così sicuro come tenersi il vero davanti e seguire la natura in tutta la varietà dei suoi colori; ma bisogna anzitutto che il pittore adotti il criterio di scegliere dal bello le cose più belle. »
D’altra parte il Bellori scriveva :
« …invaghiti [molti] dalla sua maniera l’abbracciavano volentieri, poiché senz’altro studio e fatica si
facilitavano la via al copiare il naturale, seguitando li corpi vulgari e senza bellezza. Così sottoposta dal Caravaggio la maestà dell’arte, ciascuno si prese licenza, e ne seguì il dispregio delle cose belle, tolta ogni autorità all’antico e a Rafaelle, dove per la commodità de’ modelli e di condurre una testa dal naturale, lasciando costoro l’uso dell’istorie, che sono proprie de’ pittori, si diedero alle mezze figure, che avanti erano poco in uso. Allora cominciò l’imitazione delle cose vili, ricercandosi le sozzure e le deformità, come sogliono fare alcuni ansiosamente: se essi hanno a dipingere un’armatura, eleggono la più rugginosa, se un vaso, non lo fanno intiero, ma sboccato e rotto. Sono gli abiti loro calze, brache e berrettoni, e così nell’imitare li corpi, si fermano con tutto lo studio sopra le rughe e i difetti della pelle e dintorni, formano le dita nodose, le membra alterate da morbi. »
Per il Poussin, Caravaggio era venuto per distruggere la pittura. E non è difficile capire che sia in quanti esaltavano l’atteggiamento e le capacità di Caravaggio, sia in quanti ne biasimavano la mancanza di studio, di disegno, di teoresi, di riferimenti alla storia dell’arte precedente, vi era qualcosa di vero. In accordo colla sua appartenenza al tipo « nervoso », l’artista amava cogliere la natura sul vivo, con immediatezza, ed era insofferente ai lunghi tempi che richiedevano i disegni preparatori, gli studi ; né sopportava facilmente il confronto con altri maestri, passati o presenti.
Vorremmo concludere questo breve scritto con le parole – dolorosamente vere – del Baglione che fu tra l’altro oggetto di attacchi e di poesie diffamatorie da parte del Merisi :
« Se Michelagnolo Amerigi non fusse morto sì presto, averia fatto gran profitto nell’arte per la buona maniera che presa avea nel colorire del naturale ».