Sud. Una famiglia e decenni di storia d’Italia
Di Geraldine Meyer
C’è una frase, in questo Sud, bellissimo libro di Mario Fortunato, che pur messa quasi alla conclusione della storia, potrebbe esserne esergo. E si tratta del momento in cui uno dei protagonisti, l’Avvocato, ripensa al suo rapporto con la letteratura, segnatamente alcuni autori come Kafka con il suo Il processo. Libro talmente amato da averlo indotto ad acquistarne diverse edizioni perché, per ciascuna, erano talmente tante le note con cui egli ne vergava le pagine da costringerlo a leggere sempre nuovi esemplari. Così Mario Fortunato scrive: “In ognuna di queste copie l’Avvocato compose nel tempo il proprio Processo, una specie di libro parallelo, come avrebbe detto Giorgio Manganelli, insieme glossa e testo autonomo.”
Che sembra ciò che Fortunato ha fatto con la storia, quella del nostro paese e quella della famiglia qui narrata. La storia d’Italia, dal Ventennio agli anni ’70 come glossa alla storia dei protagonisti delle pagine di Sud e viceversa. In un gioco drammaturgico speculare. Un libro e le note del lettore. Cosa sia l’uno e quali siano le altre cambia costantemente proseguendo la lettura.
Un paese del sud, disegnato fuori dai cliché ma totalmente immerso in mali atavici. Patriarchi, l’Avvocato, il Notaio, le loro famiglie, figli, collaboratori domestici, matrimoni, impegno politico, lotte bracciantili, il fascismo con l’infamia delle leggi razziali, il dopoguerra con il riciclarsi degli stessi “potenti” in camicia nera pronti a lavarsi l’abito per restare al loro posto. E ancora l’arrivo del benessere, quello della tv, il terrorismo e le occupazioni universitarie. Un sottofondo storico davanti al quale si muove la variegata umanità di una borghesia colta e ricca ma non per questo immune dai rovesci, dalle contraddizioni, dalle cadute, dalla guerra e dalle morti. Tante morti. Continui, naturali o traumatiche scomparse. Che sono poi ciò che da vita al racconto. Di cui Valentino diviene quasi una sorta di simbolo. Lui che, ragazzino, lascia la Calabria negli anni ’70 per trovarsi poi, nella maturità, travolto dal rimpianto e dal conseguente bisogno di ritrovare tutte quelle persone proprio nel momento in cui capisce che più non sono. Per questo Fortunato scrive che:” Valentino comprese che il passato non è tanto ciò che affiora dalla Storia, dalle rovine, dai massacri o dai monumenti, bensì un punto d’arrivo individuale.” Valentino, che a un certo punto troviamo adesso a Londra, comprende come sia proprio questa eredità il futuro.
Un libro che non dovrebbe essere letto come un romanzo familiare perché, nelle sue pagine, c’è qualcosa che va molto al di là e molto al di fuori dei recinti di una tale definizione. Un testo di nomi, di oggetti, di atti piccoli e quotidiani, di uomini e donne bizzarri e, per questo, divinità, di luoghi ma, soprattutto, di tempo. Un testo che ci mette di fronte alla consapevolezza che la complessità è, anche e soprattutto, il rapporto con esso. E, di conseguenza, anche la consapevolezza di come la perdita, di qualunque tipo essa sia, diventi la ricerca di un nuovo modo di relazionarsi ai luoghi dove prima c’era qualcuno che poi non c’è più.
Tutti i protagonisti, il Notaio, l’Avvocato, Maria la pioggia, Maria del Nilo, Cicco Bombarda, Tamara, Peppo della posta e tutti gli altri sono, con i loro nomi, portatori di storie, di storia ma, ancor più, pezzi di quel continuo e infinito fluire del tempo, con le sue crepe, i suoi cambiamenti e la loro capacità o meno, di accettarli. Questo è il cuore di Sud, un libro che, in moltissime sue pagine, è un libro politico ma insieme un libro di quella mitologia fondante che è la famiglia e dell’altrettanto fondante mito del tempo che l’attraversa.
Romanzo
Bompiani
2020
286 p., brossura