Together Tea: l’importanza delle radici nel romanzo d’esordio di Marjan Kamali
Di Laura Vargiu
A dispetto del titolo che evoca frivolezze, questo romanzo svela ben presto un contenuto tutt’altro che leggero e non certo di genere rosa. Il titolo originale, Together Tea, nella propria laconica semplicità, è di gran lunga preferibile a quello, maldestramente rivisto e ampliato, che campeggia quasi con un po’ di malizia (e forse la viva speranza di vendere più copie) sulla copertina dell’edizione in lingua italiana; infatti, malgrado la discutibile scelta presumibilmente da parte di chi ha curato la versione nostrana e della casa editrice che l’ha pubblicata nel 2013, il tè in questione non è soltanto quello che si offre in famiglia per conoscere un potenziale fidanzato a cui concedere la mano di una ragazza, ma è anzitutto – come emerge a poco a poco e si conferma nel corso della narrazione – quello del più autentico rituale di accoglienza della tradizione persiana senza reconditi scopi matrimoniali, così come è anche il tè che una madre desidera bere in compagnia della figlia divenuta ormai una donna adulta in grado di costruirsi una vita propria.
C’è molto dell’Iran e della sua storia contemporanea in questo gran bel romanzo, opera prima di Marjan Kamali che, non a caso, appartiene alla diaspora persiana d’oltreoceano. Nata in Turchia da genitori iraniani, la scrittrice vive da tempo negli Stati Uniti, ma, stando alla nota biografica, anche il paese d’origine figura tra i luoghi della sua infanzia; non è pertanto da escludere che nelle vicende della giovane Mina e della famiglia Rezayi, fuggite in America dopo la fine del regime dello shāh e l’inizio di quello degli ayatollāh, sia confluita almeno una parte di quelle familiari dell’autrice. Tra queste pagine, molto curate e caratterizzate da un ottimo stile narrativo che riesce fin da subito a catturare e coinvolgere il lettore, scorre la storia di Mina che all’età di venticinque anni non ha ancora abbandonato il sogno di dedicarsi all’arte a scapito dei più prestigiosi e rassicuranti studi di economia. Darya, sua madre, non rinuncia invece all’idea di trovarle un marito e s’intestardisce, affidandosi agli asettici calcoli matematici dei suoi fogli elettronici, a organizzare incontri con gli uomini prescelti, rigorosamente immigrati iraniani, che sarebbero poi comparsi giusto il tempo di un pranzo e dell’immancabile tè.
Sullo sfondo della multietnica New York, metropoli che li ha accolti tanti anni prima, i Rezayi hanno raggiunto, a suon di duro lavoro e tanti sacrifici, una posizione ormai consolidata e un’integrazione che li spingono a considerare l’America ormai come la loro seconda casa, mentre la prima, rimasta imprigionata tra le frustrazioni della rivoluzione tradita e i lutti della rovinosa guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, appare irrimediabilmente lontana; ciò, tuttavia, non impedisce a Mina, che pur era emigrata giovanissima, d’interrogarsi sulla propria identità e sentire la sua esistenza come in bilico tra due culture molto diverse tra loro, tra un Occidente e un Oriente la cui poesia è andata in apparenza perduta.
“[…] Una parte di lei era sempre rimasta legata al suo luogo di origine, come sospesa. E se il paese e la storia che i suoi genitori amavano fossero stati ancora sepolti là? E se fosse riuscita a recuperarli? Aveva sempre desiderato conoscere l’Iran in cui era cresciuta sua madre, anziché quello da cui erano dovuti fuggire. Avrebbe potuto ritrovarlo e ricostruirlo da adulta?[…]”
“[…]Una parte di Darya si era sempre vergognata della nostalgia dell’Iran. Come mai sentiva la mancanza di un luogo pieno di leggi spietate e di tristezza infinita? Perché non c’erano solo quelle […]. Perché la poesia esisteva ancora. […] E perché quel posto era casa. Casa sua. […]“
La nostalgia e il desiderio di ritrovare affetti e legami spezzati, nonché qualcosa di sé in patria, porteranno infine madre e figlia a partire all’improvviso alla volta dell’Iran, paese trasformato dalla fine degli anni Settanta in una Repubblica islamica dove la vita quotidiana, com’è noto, non è mai stata semplice, ancora meno all’epoca di Khomeyni.
Un viaggio non previsto, nel tempo e nello spazio, che parlerà inevitabilmente di passato, con le sue ferite ancora aperte, e al tempo stesso di un futuro che preannuncia sorprese in barba ai calcoli matematici dell’esuberante Darya. Le due coprotagoniste, ognuna con la sua personale visione del mondo frutto di generazioni ed esperienze differenti, animano alla perfezione una trama in cui anche tutti gli altri personaggi trovano la giusta collocazione, da quello di Parviz, padre e marito di larghe vedute, a quello di Bita, amica d’infanzia dallo spirito ribelle che nemmeno da adulta desiste dallo sfidare le vessazioni fondamentaliste, da quelli delle amiche del ristretto circolo matematico di Darya, a loro volta immigrate, a quello dell’artigiano di Isfahān che offre a Mina il tè nel suo magazzino senza accettare rifiuti. Ecco, si ritorna dunque sempre al tè, quello del titolo il cui senso è stato brutalmente stravolto. Il caratteristico samovar sempre pronto all’utilizzo sembra essere parte integrante della scenografia privata persiana, garante di quella squisita ospitalità di cui si sente raccontare dai fortunati turisti di ritorno dall’Iran e da chi, più in generale, possa vantare lunghi soggiorni in loco. Perché, naturalmente, al di là degli stereotipi culminanti nel nero dei chador e nelle barbute guardie rivoluzionarie, esiste ben altro di questo paese bollato come “stato canaglia” dall’ipocrisia delle diplomazie occidentali (sempre pronte a utilizzare due pesi e due misure a seconda degli interlocutori), a partire dalla sua umanità, e il romanzo della Kamali lo testimonia appieno. Non a caso, l’altra grande protagonista di queste pagine è proprio l’affascinante terra di Persia con i minareri e le cupole delle sue spettacolari moschee, la millenaria maestosità delle rovine di Persepoli, i profumi penetranti delle spezie, l’antica poesia dei suoi ghazal, il forte desiderio di libertà della sua gente.
Una storia da cui, quando si giunge all’ultima riga, ci si distacca a malincuore. Un romanzo sull’amore (che però non si rivela la componente principale), sulla famiglia e l’importanza delle radici. Un libro per davvero molto bello, titolo (italiano) a parte!
Narrativa
Giunti
2013
287 p.,