Combattenti tra democrazia e fascismo
Di Silvio Antonini
Emozionante questa lettura per me. Vi si affronta quello che di fatto si è rivelato il mio principale argomento di studio: il conflitto politico – sociale nel Primo dopoguerra nella Tuscia, in aggiunta alle vicende dell’Associazione nazionale combattenti (Anc, poi, dal 1947, Ancr), di cui, dieci anni or sono, ho inventariato l’Archivio storico per la Federazione provinciale, depositato all’Archivio di Stato di Viterbo.
Emozionante ritrovare nomi e circostanze scoperti con le ricerche sugli Arditi del popolo, la cui memoria, senza sortite di questo tipo, andrebbe irrimediabilmente perduta.
Sandro De Amicis, l’autore, è una figura nota sul panorama culturale locale: bibliotecario, con all’attivo diverse pubblicazioni di tenore storiografico tra articoli su riviste specializzate e monografie. Qui, elemento nuovo in termini di documentazione archivistica, De Amicis ha utilizzato l’Archivio storico della Questura di Viterbo, di recente, tutto sommato, pubblicazione. Un fatto notevole, se si pensa che la principale fonte per la storia pubblica locale, cioè l’Archivio dell’allora Sottoprefettura, sia andata smarrita. Sul piano bibliografico, oltre alle pubblicazioni canoniche sul tema, trova priorità “L’Azione”, l’organo dei Combattenti e mutilati – invalidi di Viterbo, praticamente l’unico periodico locale del 1920-22 giunto ai giorni nostri, inoltre pressoché integralmente.
Il tema del volume è il rapporto tra combattentismo e fascismo, laddove questo ha sostenuto ed imposto, fino ad oggi, la tesi che non esistessero combattentismi ed interventismi di guerra al di fuori di esso stesso. Qui, proprio attraverso le vicende locali, si evince che la verità è tutt’altra. Le origini del combattentismo non sono lineari, così come le posizioni politiche prese. È forse proprio in seno al combattentismo che in Italia debutta il postulato “né destra né sinistra”, nell’idea che i combattenti, temprati dalla Trincea, fossero capaci di gestire la cosa pubblica, senza ricorrere a formule politiche. Idea inevitabilmente destinata ad infrangersi, allora come oggi, alla prova dei fatti. Dinanzi al fascismo, nell’Anc, tra tentazioni di uniformità più o meno integrale e di adattamento (il Patto di trincea con il Governo Mussolini nel 1923), si fa comunque spazio la difesa dell’indipendenza associativa che spesso si trasformerà, se non nei propositi almeno nei fatti, in aperto Antifascismo.
Ed è il caso di Viterbo. Qui, nel rispetto delle tradizioni cittadine, la Sez. Anc presentava una forte egemonia repubblicana. Sebbene con tutta la cautela in ambito comunicativo e le precauzioni del caso, nel corso dei mesi si manifesta l’insofferenza nei confronti dell’avanzata fascista. L’Anc, nelle Tre giornate di Viterbo (10-12 luglio 1921), seppur con intenti prevalentemente pacificatori, prende infatti parte al Comitato di difesa cittadina contro le incursioni fasciste. E quando la città cadrà inevitabilmente, nel 1923, rimarrà sul campo proprio l’Anc, come unico elemento di disturbo per il consolidamento del Regime. I fascisti, dalle colonne de “La Rocca”, ingaggiano infatti una violenta campagna contro i combattenti, rinfacciando il loro Antifascismo e la presenza di elementi sovversivi negli incarichi dirigenziali. L’affronto più grosso si avrà nel gennaio 1924, quando, ormai in piena fascistizzazione delle istituzioni, la Sezione di Viterbo elegge un Direttorio palesemente antifascista, con a capo Achille Battaglia, repubblicano, interventista, Volontario della Grande guerra e Direttore del periodico locale “La Nuova provincia”. Imperdonabile. Nella notte, la Sede subisce un’incursione con scritte ingiuriose sulle pareti. Un corteo di camicie nere nel centro della città si conclude con il rogo in piazza delle copie de “La Nuova Provincia”. Il rapimento e l’assassinio di Matteotti sanciranno la rottura definitiva tra Combattenti e Fascio. Rivelatisi infruttuosi i tentativi di esautorare l’Anc creando l’Unione nazionale combattenti, il Regime procede allo scioglimento dell’Associazione con il capo d’imputazione di svolgimento di attività antinazionali. La Sezione di Viterbo è tra le prime a farne le spese. L’Anc, di fatto, risorgerà con la Liberazione.
Tra le personalità che avevano contribuito a far tenere il punto all’Anc – ed i fascisti non mancavano puntualmente di farlo presente -, Domenico Rossi, il zi’ Meco. Sediaio del quartiere di Pianoscarano, Ardito di guerra nel XIII Reparto d’assalto, comunista prima di Livorno ed Ardito del popolo tra i più attivi, imputato ed arrestato per il delitto del fascista Melito Amorosi da cui verrà assolto con formula piena, dopo diversi mesi di carcere. Morirà sotto i bombardamenti alleati del 1944.
Nell’XI, recente, ed. delle Celebrazioni dei Fatti di Viterbo del 1921-22, visto il Centenario delle Tre giornate di Viterbo, durante la Marcia commemorativa al Cimitero è stata scoperta la targa sulla sua tomba: “ARDITI DEL POPOLO, 1921 – 2021. A DOMENICO ROSSI”.
Memoria
storia
Sette Città
2019
404 p., brossura