I lenti tram. Scrittura e memoria
Di Geraldine Meyer
Noé Jitrik, tra i maggiori scrittori e critici letterari argentini, viene per la prima volta tradotto in Italia da Amos Edizioni. Che porta nel nostro paese questo I lenti tram, molto ben tradotto da Marino Magliani con la collaborazione di Alessandro Gianetti. Ma che libro abbiamo tra le mani? Un memoire? Un “brano” di autobiografia? Forse tutto ciò e niente di tutto questo. Ciò che suscita la lettura di questo libro è una profonda riflessione su cosa significhi scrivere di sé, su quale sia il rapporto tra il sé scrivente (che si confronta con l’irreversibilità del passato) e il sé di cui va scrivendo. Si tratta, forse inevitabilmente, di due grammatiche per certi aspetti simili ma mai sovrapponibili. Perché, al netto di tutto, vi sono i diritti della memoria tra cui vi è, che ci piaccia o no, anche quello di scegliersi una sua propria semantica e una sua propria sintassi.
Formalmente I lenti tram è la rievocazione di uno spicchio dell’adolescenza dell’autore. Nello specifico quella attorno al 1940 in una Buenos Aires che rimane sempre sullo sfondo eppure, forse per questo, molto presente. I lenti tram è una sorta di elegia del quotidiano, del suo valore di rito, tragico o lieve come sempre accade, che torna come ricordo ma che, proprio per questo, la scrittura individua come destino. Non si tratta di predestinazione quanto, semmai, un viaggio a ritroso in cui scrittura e memoria ingaggiano una battaglia per capire cosa vi sia stato, nel tempo, di casuale ma portatore di senso. Luigi Marfè, nella bella postfazione, parla di caso e senso come di binari che corrono paralleli. Alla scrittura, al ricordo, alla memoria (che non sono la stessa cosa) resta il rintracciare, nascoste o più evidenti, quegli elementi di continuità temporale che fanno una vita.
I lenti tram, proprio perché non romanzo, ci rende chiaro come la forma romanzo stessa sia, se non morta, decisamente agonizzante. Come il gesto di fare letteratura, con la vita di sé, sia qualcosa di estremamente sovversivo, forse vera unica letteratura possibile. Ecco perché, come nota sempre Marfé, il libro si apre con le parole di Barthes che invita a “imparare a leggere il testo, il tessuto della vita.”
I ricordi, i gesti grandi e piccoli con cui Jitrik ci porta in quel pezzo della sua infanzia non sono una ombelicale osservazione di sé stessi ma, semmai, una forma di contemplazione del passato riletto fino a divenire attuale e presente. Come scrive lo stesso Jitrik: “[…] per me la scrittura è un tipo particolare di indagine, piuttosto diffusa, sul rapporto che può esistere fra un essere, il mio, e un fare, quello del mio rapporto col mondo.” Ecco perché la scrittura di sé abdica alla totalità e alla coerenza che sembrano essere prerogativa del romanzo contemporaneo. Proprio perché è la scrittura di ricordi e, in quanto tale, è un’indagine, continua e frammentata al contempo, tra “mondo reale e quello scritto.”
Ed è anche, questo I lenti tram, un continuo interrogare il tempo. La sua irreversibilità. Perché, come scrive sempre Marfé: “Le immagini che riaffiorano alla memoria sono inafferrabili, estatiche nella loro distanza dal presente; i discorsi che suscitano somigliano a un laborioso girotondo, un eterno ritorno che non arriva mai a comprendere appieno l’enigma del passato.”
Highway 61
Memoire
Amos Edizioni
2021
184 p., brossura