La tana del riccio
Di Luca Morettini
Un tempo una band che si chiama Consorzio Suonatori Indipendenti cantava “ciò che deve accadere accade”. E non serviva aggiungere altro. Può significare che il destino mette di mezzo la sua mano oppure no, che fa tutto parte della volontà umana e delle nostre scelte. Non ha molta importanza in quale versione si crede o si faccia il tifo. Quello che deve accadere, accade sempre. A me doveva accadere di rimanere sedotto più che mai, rispetto al passato, dalla poesia e cercare di cavare fuori qualche parola per tutto ciò che di bello è apparso, appare e apparirà lungo il mio cammino.
Cito questo verso dei CSI perché è stata la prima cosa che ho pensato quando mi sono imbattuto nella raccolta di poesie, edita da AttraVerso Edizioni, La Tana Del Riccio di Rosa Pugliese. Poi mi sono fermato a riflettere su come sia buffo che una donna con un nome del genere caratterizzi la maggior parte della sua produzione attraverso immagini legate alla flora e alla fauna. Destino o scelta ponderata doveva accadere, non poteva essere altrimenti.
In qualche modo doveva nascere un sodalizio felice, fortunato e intenso.
La natura che ci circonda e che fa parte della nostra vita, ne è l’essenza, è un concetto che non conosce vie di mezzo. Viaggia per estremi, dalla placidità e la calma alla violenza e alla furia distruttrice. E tali estremi si palesano tutti nelle poesie di Rosa Pugliese: edera, alberi, solstizi, nuvole, neve, luce. Scenari belli e immacolati, una singola parola da dove scaturiscono bagliori di purezza. Ma dietro a tutto ciò, nascosto come un’immagine vista da una finestra appannata c’è il dolore, la sofferenza. Qualcosa che sta alle nostre spalle e che si fa sempre più ricordo lontano, ma ancora presente, vivo, pulsante. La via di mezzo che mancava. Mondi traboccanti di bellezza illuminati da un sinistro crepuscolo.
L’effetto di queste parole è disarmante non solo perché è bello, ma più di tutto suona onesto e sincero. Un modo di raccontarsi usando la stessa linea guida che però non produce niente che possa dare la sensazione di ripetitività. Ogni poesia è in ugual misura diversa e uguale a quella che la precede e a quella che avanza e si ha davvero l’impressione di vedere il riflesso di Rosa Pugliese e questo riflesso appare in tutta la sua nitidezza. Persino nelle pause che intercorrono tra un verso e l’altro, là dove il primo a volte è lo stesso titolo della lirica e si fa più lunga, intensa. Ci sono mondi e ci sono silenzi ed entrambi sono sapientemente raccontati. Passano e rimane qualche cosa dentro che non se ne andrà tanto facilmente.
Come già detto all’inizio, doveva accadere e infatti è accaduto.
“La poesia dei luoghi che mi hai regalato” recita il verso finale di una delle liriche. Rosa Pugliese ha fatto lo stesso per noi, per tutti quelli che la leggeranno. Di ciò non possiamo fare altro che ringraziarla.