L’imperatrice. Olga e una Romania sconosciuta
Di Geraldine Meyer
Il romanzo L’imperatrice è una doppia scoperta: quella di Liliana Nechita, l’autrice, è quella di una Romania ai più totalmente sconosciuta. E che qui ci viene restituita con il racconto degli ultimi fatto da chi a questi ultimi, in un certo senso appartiene. Uno sguardo dal basso che ci narra di una donna e di un paese che, pur nella loro unicità sono tante donne e tanti paesi. Perché la miseria, la fatica, il dolore, il distacco e lo spopolamento non appartengono a un luogo solo e a una sola latitudine. Ma hanno quella universalità che proprio attraverso le differenze ne disegnano l’identità.
L’imperatrice è Olga, una donna ruvida, dura o meglio indurita, che conosce la fatica, la solitudine, il lavoro senza tregua che le donne dell’est portano addosso come un vestito. Un vestito che non cambia con le stagioni, un vestito che è una seconda pelle, al punto tale da non consentire più che ne venga percepita la scomodità.
A raccontarci la sua storia è Elena, la voce narrante, quella della nuora. Una giovane donna di città e una anziana donna di campagna che si incontrano e che riescono a mescolare le loro differenze facendone un dispositivo di parola, un tratto di percorso comune, un racconto appunto. Che è, quello di Olga, il racconto di una vita e, quello di Elena, quello di un testimone. Che, come tale, non aspira all’oggettività quanto semmai a donare uno sguardo e una prospettiva.
La prospettiva è quella di un romanzo che potremmo definire matriarcale seppure di un matriarcato forzato, quello che consegue dall’assenza degli uomini, lontani per lavoro o annegati nell’alcol. Un matriarcato che si porta sulle spalle la crescita dei figli, la casa, il lavoro nei campi, le stagioni che passano indifferenti ai cambiamenti politici, e le mutazioni sociali. Quelle mutazioni che, dopo l’ubriacatura comunista condurranno allo spopolamento della campagna per inseguire il miraggio di una vita migliore, in città ma ancor più all’estero.
L’imperatrice è uno spaccato di storia, quella della Romania, attraverso la storia individuale di una donna che ne ha attraversato le correnti, costretta alla carnalità della fatica e all’assenza di qualunque sentimentalismo, a volte anche di ciò che il ricco occidente considera un valore. Ma la miseria è quella cosa che, come scrive la Nechita, porta a considerare i figli come gattini, se non si possono mantenere è meglio darli via. E sarà proprio su questo crinale che si creerà una frattura tra Olga e Elena, Una frattura che è metafora di quella tra due mondi, tra due percorsi, tra due differenti modi e condizioni con cui si attraversa la vita.
Un personaggio ruvido eppure pervaso da una forma di dolcezza e di accudimento. Perché questo fa Olga se ci si pensa bene, accudisce: i due mariti, i figli, il paese, i vicini. Lo fa con i gesti, anche quelli più bruschi, che sono difesa più che attacco, che sono un tentativo di evitare che le cose cambino, che altri dolori arrivino. Perché lei è l’Imperatrice che sa come va il mondo o che sa come dovrebbe andare.
È davvero una lettura che avviluppa, che porta luce in tanti angoli rimasti nascosti e che, proprio per questo, sono tasselli fondamentali della storia, non solo della Romania ma forse di tutto quell’est Europa di cui a noi, troppo spesso, sono arrivate solo le propaggini sfocate di ciò che si è voluto far sapere. O tutte quelle donne che, con termine così approssimativo, vengono chiamate badanti. Lavoro che svolge anche l’autrice del libro e che, forse proprio per questo, sembra conoscere così bene la dura vita di Olga. Perché anche la letteratura è accudimento in fondo.
Visionaria
Romanzo
FVE
2021
192 p., brossura