La Grande Esplosione
Di Vincenzo Lombardozzi
La prima volta che provarono a uccidermi non ero che una bambina. Più che spaventarmi del fatto, m’impressionò che qualcuno avesse cercato la mia morte con tanta violenza. Fu un trauma. La prima di mille altre volte, alle quali non mi abituerò mai. Se non quando nulla potrà più contare.
Il terrore con cui ci fuggono. L’accanimento con cui ci danno la caccia. Sarebbe ridicolo, non fosse letale. Eppure, che io sappia, la mia tribù è l’unica che non uccida per nutrirsi. È nostro punto d’onore non recidere vite per alimentare la nostra. Ci nutriamo di spirito. Ci muoviamo lentamente. Ci cibiamo della vicinanza. A sostentarci basta la prossimità delle persone che ci piacciono.
Dopo la Grande Esplosione sviluppammo le nostre facoltà. Come tutti. Ad alcuni crebbero zanne, ad altri artigli. Chi sviluppò corazze, chi raggiunse assurde velocità di fuga. Aculei, pungiglioni, tentacoli ributtanti. Un numero di arti sempre nuovo. Le mutazioni variarono ogni specie vivente.
Siamo tutti sopravvissuti. Siamo tutti dei mal-viventi. Non siamo stati fra i più fortunati. Il dono che ci è toccato in sorte è una capacità di adattamento all’ambiente straordinaria. E altre prerogative, buffe o penalizzanti.
I nostri maschi vivono poco. Pesanti e impacciati, sono i primi a soccombere. Il loro canto ci attira. Cantiamo anche noi; canti dolcissimi. Acuti, in giovane età. Più gravi quando raggiungiamo la maturità sessuale. La sintonia ci fa accoppiare, come tutti. Il seme che riceviamo nel primo accoppiamento sarà quello che ci feconderà per tutta la vita. Ma potremo riaccoppiarci per provare piacere. Come tutti.
Non sappiamo regolare il calore corporeo, la nostra temperatura dipende dall’ambiente circostante. Ai primi freddi rallentiamo le funzioni corporee, interrompiamo la crescita ed entriamo in letargo. Il nostro organismo resta inattivo, non si alimenta e non si muove. Trascorriamo così la maggior parte della nostra esistenza, viste le precipitazioni improvvise e le bizzarrie di un clima cagionevole. Nonostante le condizioni ostili, vogliamo solo sopravvivere. Come tutti.
Ci accusano di portare malattie. È spesso falso, e mai per scelta. Colpa nostra se batteri e virus ci usano come veicolo? Crede forse, chi punta il dito, di esserne immune? Si è mai chiesto a quanti esseri risulti mortale, e in modi più consapevoli? Non giustificate il vostro odio con le menzogne. Quanto a noi, mortali lo siamo per nostro conto, e per altrui contributo.
Provano a tenerci lontani attraverso rituali: accendono fuochi, bruciano essenze, adornano le loro case di piante che dovrebbero intimorirci. I loro scienziati deviano corsi d’acqua che ci sono necessari. Provano a eliminarci spargendo veleni, che intossicano essi stessi. Sterminano le loro terre e continuano a cibarsi dei loro frutti assassini. Potremmo riderne, ma sarebbero risate amare, e i nostri sorrisi sono da tempo spenti.
Poi si sono fatti più furbi, e mille volte più crudeli.
Hanno studiato nuove sostanze, innocue per la loro prole, che inibiscono lo sviluppo della nostra. Se solo vedessero lo scempio che hanno fatto. Cosa direbbero le loro madri, tenendo al seno nidiate di malformati? Hanno selezionato razze di predatori, disseminandoli a loro rischio e pericolo nelle terre che abitano. Tentano di modificarci geneticamente, nella speranza inumana di selezionare spermatozoi in grado di generare soli maschi.
Quando possono, non uccidono sul colpo. Amano bruciarci in parte, strapparci gli arti e lasciarci vivi, per farci monito ai sopravvissuti. Come convivono con sé stessi? Non si fanno orrore? Come possono allevare figli, assistere anziani, amarsi addirittura, perfezionandosi in barbarie simili? Non rispettano niente, non temono nessuno. Cosa direbbero se il fato gli riservasse lo stesso destino?
Questa è la mia speranza. Né più né meno di quanto spetta oggi a noi. Qualcuno, qualcosa, che gli riservi la nostra sorte senza che mai sappiano il perché. Dover scappare, vivendo nella minaccia di mille torture. Dover sapere che si lavora alla loro estinzione, sfacciatamente, e senza che ci si possa far nulla. Verrà un giorno che le mutazioni non saranno più a loro favore esclusivo. Altri organismi prevarranno. Si sveglieranno fuggendo, e dormiranno nell’incertezza del risveglio. Conosceranno l’Orrore a cui non ci si abitua. Conviveranno con l’odio spietato dell’Oppressore. Peggio: con la sua indifferenza. Forse non è lontano il momento in cui >|<
“T’ho presa, puttana succhiasangue!” disse l’uomo in pigiama guardando la macchia cremisi sul quotidiano sportivo.
“Dai Nick, levati gli stivali e torna a letto. Anzi, mmm… no: tienili.”