David Bailly, maestro della Vanitas
Sia in quanto pittore, sia in quanto ricercatore mi sono molto occupato della Vanitas, dei suoi topos, dei suoi oggetti, delle sue figure e dei suoi artefici ; in questo breve scritto vorrei fornire alcuni cenni su David Bailly, che fu un artista eccezionale e svolse un ruolo di primo piano nello sviluppo e nella diffusione del genere.
Cenni biografici
Nato a Leida nel 1584, una prima parte della sua vita è occupata da viaggi necessari al perfezionamento e allo studio : è impegnato dapprima ad Amburgo nell’ambito di un programma di apprendimento corporativo, poi soggiorna a Venezia e a Roma. Sulla strada del ritorno, offre occasionalmente i suoi servizi alla nobiltà tedesca. Di ritorno in Olanda nel 1613, lavorerà come pittore di ritratti e di vanitas. Muore a Leida nel 1657. È stato lo zio e il maestro di altri due pittori di vanitas, Hermann e Peter Steenwyck.
Contesto, importanza e significati del suo percorso Bailly è di confessione protestante ed opera in una città, Leida, che è stata un importante centro teologico protestante ; come abbiamo scritto altrove, la visione protestante, per il fatto di insistere sulla condizione di colpa e di peccato dell’uomo che non può salvarsi che per la volontà e scelta divine, è strettamente legata alla nascita del genere vanitas. Tale clima culturale si traduce talvolta, nelle opere, in atmosfere più cupe e desolate, pensiamo ad esempio ai fiori di Adrieaen Van der Spelt (1630-1673) che sono come assorti in malinconiche meditazioni solitarie, lontani da ogni tripudio ed enfasi barocche della coeva pittura fiamminga o italiana.
Non è invece il caso del nostro artista, che sviluppa la sua ispirazione in direzione di un concettualismo sempre però sostenuto da una qualità incredibile del discorso, sempre impeccabile nella scelta dei modelli, nelle composizioni, nella materia pittorica raffinata ed elegante.
Oltre ad essere un eccellente pittore di ritratti che ha lasciato una grande produzione sia in disegno che in pittura, rappresentando tutta la nobiltà e l’intellighenzia del suo ambito culturale, Bailly ha avuto un ruolo capitale per la precocità con la quale ha iniziato il suo discorso sulla vanitas e la produzione inerente, contribuendo in maniera rilevante, se non proprio dando inizio, alla diffusione di questo tipo di dipinti (il primo dipinto autonomo di vanitas datato, che ci sia pervenuto, è di Jacques de Gheyn III e reca la data 1603). Questa attività di promozione e sviluppo è attestata anche dal fatto che Bailly formò due suoi nipoti, Herman e Peter Steenwyck, come pittori di vanitas ; analizzeremo brevemente i caratteri delle loro produzioni in chiusura dell’articolo.
Le opere
Bailly è un ritrattista preciso e di grande talento, non coglie l’impressione sul vivo ma lavora da disegni precedentemente eseguiti, che sono molto accurati e si prestano anche ad essere tradotti in incisione.
Questo talento – e vorremmo dire amore – per il ritratto costituisce una delle particolarità dello stile del pittore di Leida, che ritroviamo nelle sue vanitas. E mentre spesso i pittori di vanitas non eccellevano nel ritratto, mostrando debolezze di disegno (è il caso anche dei suoi allievi, i fratelli Steenwyck), per cui qualche busto o disegno di figura inseriti nelle composizioni lasciano talvolta a desiderare ; nelle vanitas del nostro la qualità è sempre altissima, ciò che conferisce ancora maggior valore all’insieme di ogni singola composizione. Considerazioni che ci conducono all’esame di quella che è forse la sua opera più famosa, la Vanitas con ritratti (autoritratto) :
L’approccio dell’artista rivela originalità e profondità di pensiero : il vuoto che è espressione della vanitas è evocato attraverso il « troppo pieno » di un affastellamento di oggetti che rinviano anche all’accumulo esistenziale di esperienze e di ricordi propri ad ogni singola vita. La vita del pittore non fa eccezione, anzi notiamo un’implicazione in prima linea con la presenza del suo autoritratto che regge un altro autoritratto in età più avanzata. Un’idea geniale ed un unicum in tutta la produzione del genere. Il programma iconografico dell’artista condensa diverse aree semantiche della riflessione sulla vanità : c’è una meditazione sul tempo che trascorre figurato dalla compresenza dei due autoritratti, c’è il tema del rappresentare l’atelier del pittore come ci ricordano l’appoggiamano, strumento che il pittore regge con la mano destra, e la tavolozza appesa al muro ; c’è tutto l’armamentario « tradizionale » del genere, il teschio, il libro, il candelabro, i fiori, l’alto bicchiere di vetro e il tipico römer rovesciato, la clessidra, il vaso di fiori, i gioielli e le monete, un pimander che è quella piccola sfera d’argento che era destinata a contenere sostanze balsamiche ed aromatiche, sorta di profumo portatile dell’epoca ; tutto ci parla del vissuto con i suoi beni e la sua intimità, quel ritratto di donna è probabilmente di una persona cara all’artista e fa comunque allusione agli affetti, i disegni sono forse suoi disegni e comunque « segni » dell’affaticarsi dello spirito dell’uomo e dei suoi sensi per produrre bellezza e significato. Infine le due statue, pur iscrivendosi nella tematica generica del rapporto ambivalente vanitas/arte (l’arte è soggetta alla vanità ma è anche ciò che potenzialmente redime da essa) rinviano al topos dell’alternanza ed eguale vanità di gioia e dolore : fondamentale eguaglianza, nella morte, del fanciullo che ride e del S. Sebastiano straziato dalle frecce. Il tutto con una « sprezzatura », con un’apparente facilità, con un’eleganza e una raffinatezza da fuoriclasse che piazzano quest’opera tra i capolavori non soltanto del genere, ma della pittura di tutti i tempi.
In un’altra opera l’artista attinge addirittura alla sfera del calembour e del rebus, recuperando una dimensione propria a certe opere del tardo medioevo ; recupero molto sapiente che si riconduce alla pictura poesis.
L’impianto della vanitas è quello consueto dell’affastellamento di oggetti appartenenti al repertorio formale del genere ; stavolta oltre alla tavolozza vi sono anche i pennelli e i colori. Tabacco, miccia, pipa, zolfanelli, le carte da gioco e i dadi fanno riferimento ai giochi, svaghi e piaceri, così come pure il flauto e il liuto. La conchiglia rinvia agli oggetti preziosi e alle collezioni mentre su tutto, a coronamento, si sospendono le bolle di sapone, simbolo per eccellenza dell’effimero e del transitorio. La particolarità di questo dipinto è costituita dal dettaglio del giovanetto moro che tiene in mano un ritratto in miniatura. Il personaggio effigiato nella miniatura indica con la mano quanto si trova sotto di lui, cioè immediatamente i fiori e più estesamente l’insieme della composizione di vanitas. Queste presenze, il cui senso non è immediatamente decifrabile, interpellano lo spettatore, lo spingono ad interrogarsi… collegando pensiero e riflessione ecco sorgere poco a poco i significati : la « tête de more » è una « tête de mort », espressione omofona in francese, una testa di morto che fronteggia il ritratto del gentiluomo effigiato nella miniatura ponendo una virtuale identità tra le due figure, collegamento che lo stesso effigiato rinforza rinviando, col suo gesto, ai fiori, emblema della brevità e fragilità della vita.
Appendice : I fratelli Stenwyck
Herman Steenwyck (c.1612 – dopo il 1656) e il fratello Pieter Steenwyck (c. 1615, Delft – 1666, Delft) divengono allievi dello zio David Bailly nel 1633 e formati alla pittura di vanitas. Nei loro lavori troviamo un’analogia con gli schemi compositivi del maestro, basati sull’affastellamento quasi « riassuntivo » del repertorio iconografico della vanitas, punteggiato talvolta da un gusto dell’esotico e da un naturalismo molto limpido, ancorché più semplice e a volte quasi naïf rispetto alla raffinatezza di Bailly. Si veda ad esempio questa vanitas di Herman :
La composizione, pur basata sull’affastellamento nella parte principale, fa largo uso dello spazio vuoto con un effetto di « raggio di luce » proprio a certe soluzioni caravaggesche di natura morta. Spuntano tra gli oggetti una katana, novità assoluta per l’epoca, e una conchiglia tropicale, probabilmente un turbo ; Herman fece un viaggio in Oriente come membro di una spedizione della compagnia delle Indie, e questo interesse per i viaggi e le scoperte si riflette nelle sue composizioni.
Più assorto, intimista e meno naïf sembra il fratello Peter, autore di questa vanitas :
Che presenta già un impianto compositivo e soluzioni formali quali si potranno ritrovare nella produzione, ormai codificata e quasi « standardizzata », di C. N. Gijsbrechts e altri artisti protagonisti della fase matura della vanitas. L’impronta generale è comunque più pittorica e « atmosferica » rispetto allo stile del fratello.