Come il cappello
di un folle,
l’ombra è simbiotica
fino al tramonto
il senso
che rende triste l’attimo
è fingere che sia costante
anche l’attesa.
Trovo un po’ blasfemo
che cammini in casa
con la mia maglietta
davanti allo specchio
mordi le stesse labbra
che assaggiavo
anche nel forno
muscoli di polvere
colorano di blu le stoviglie
mi trovo
nel pugno due righe
cancellate dalla spinta di una matita
il treno scosta le virgole,
i conati hanno frugato le aiuole
per creare surrealistici incesti
non dimentico
di certo l’odore di bruciato
sul cuscino
che il giardino ha tante foglie,
la solitudine
di un condominio la domenica
e quella musica insana
che adesso suona come un malanno
-malattia del cuore- dicevi
e la cantavi come avrebbe fatto
un vecchio pieno di rughe,
coi polpastrelli di velluto
soffice
burro tra le cosce
che mi faceva dormire
Storie di miti
che l’impronta nell’anima
è uno specchio
ritraggo i tuoi lineamenti
nelle montagne
ogni spigolo è un chiodo
per intime passioni
-polvere,
sotterraneo ardore-
in felici chiostri
si dileguano antiche preghiere
-mi ungo di sale
mentre la neve stropiccia sul volto
un’invocazione alla paura-
nuda,
di morte danzante
in vecchie cantine
quando anche la luce
segregava gli dèi
in pastelli di retina
e pozzanghere sporche.
Come incorniciati
I blu sono quasi fiori
Che l’acqua
stagnante raccoglie
Sul verso di un sole opaco
Ti attraverso
Nel varco sottile di uno spillo
E il solo saperti,
Mi puntella il respiro
di piccoli gulp.
Sara è un nido di piovre
mentre spia
piatti che si accumulano sulla tavola.
Sara è una cometa
che spinge il cielo sulle nuvole,
ma nel rombo di un treno
scema il suo appetito,
lo stomaco un sarcofago colmo d’aceto