Davide Grittani e le colpe di chi non vuole vedere
Di Geraldine Meyer
Cosa accade quando si sceglie di non vedere? Quando la paura che arriva dall’aver compreso la vicinanza a noi del mostruoso induce a credere di difendersi chiudendo gli occhi e ogni altra via d’accesso alla nostra coscienza? Quanto è sottile quella linea che divide colpevoli e innocenti se è vero che colpevole è, più ancora di chi il male lo commette, colui che, potendo, non lo impedisce. La bambina dagli occhi d’oliva di Davide Grittani ci porta sulla soglia di queste domande che sono un abisso e ci costringe a interrogarci su molte cose. Partendo forse dalla “banalità del male” e da ciò che la Yourcenar scrisse nel suo memorabile Memorie di Adriano nella frase: “Non c’è nulla di più volgare dei nostri complici”. Perché forse di questo si tratta. La complicità ha due facce e molte accezioni e in questo libro le troviamo pressochè tutte, insieme alla consapevolezza che, proprio come “l’effetto farfalla” non vi è azione che non abbia ricadute sulle vite degli altri, anche quelle che sembrano più lontane.
Un misterioso disegno è ciò da cui tutto parte. Sandro Tanzi, protagonista e voce narrante (e unificante) della storia scoprirà, attraverso l’incontro con Angelica Capone, quanto possano essere violenti i fantasmi e inossidabili i sensi di colpa. Quando tutto sembra fermarsi proprio lì, in quel passato, in quel disegno. E non è un caso che sia proprio un disegno il deus ex machina da cui tutto comincia. O meglio, da cui tutto riprende come se il grumo di male si fosse semplicemente acquattato, fermo come un disegno. Ma, come un disegno, pronto a lanciare dardi e segnali, quei segnali che allora qualcuno aveva preferito ignorare.
Un libro a più livelli, in cui tante storie si incrociano, trovandosi all’appuntamento dopo anni, percorsi diversi, accidentati ma accomunati dal non detto e non fatto e quindi dal dolore. Perché il non detto e il non fatto hanno, quasi sempre, la stessa portata di ciò che si dice e di ciò che si fa. Solo stanno dall’altra parte dello specchio. Un libro su più livelli perché è si un libro di denuncia (la violenza sui bambini) ma anche un libro sul piano inclinato degli eventi, su cosa si è disposti a fare per mettere a tacere le voci che non ci lasciano tregua, su ciò che si è disposti a fare illudendosi di pareggiare i conti. Ma è, soprattutto, un libro che induce a riflettere su quanto poco ci si ascolti gli uni con gli altri, su quante parole vengano lasciate a disperdersi senza dare loro l’opportunità di salvare, di salvarsi e di salvarci. C’è davvero molto in questo libro in cui ogni dispositivo, ogni personaggio e ogni situazione non sono scelti a caso ma, lo si avverte molto bene, sono frutto di un profondo lavorio e di scelte precise, anche simboliche, anche metaforiche: gli anziani lasciati nelle case di cura, le sale giochi in cui si crede di scommettere e in cui, al contrario, si punta sull’unico cavallo vincente che è comunque la sconfitta, gli stranieri che si prendono cura dei nostri vecchi, il potere marcio di chi è forte coi deboli, una borghesia che assomiglia ai sepolcri imbiancati fuori e marci dentro. E a fare le spese di tutto ciò pare essere sempre la parola non ascoltata, il silenzio che non si è voluto fare, per paura. Quella paura che mescola le carte e confonde il confine tra colpevole e innocente, che cambia la scena, che alza e abbassa il sipario a suo piacimento.
Un libro, altresì, sorretto da una scrittura dotta, che si concede il lusso di una malinconica eleganza, di una elaborata ricercatezza, sia formale sia concettuale. La bambina dagli occhi d’oliva è anche l’elaborazione del lutto e della perdita, non solo delle persone ma, ancor più, dell’innocenza stessa. Per questo, anche per questo, è un libro che non intrattiene e non consola. Anzi, esattamente il contrario. Che poi è quello che si chiede ai buoni libri.
Sidekar
Romanzo
Arkadia
2021
183 p., brossura