Il carteggio Arendt – Broch
Di Geraldine Meyer
Nei carteggi vi è qualcosa che induce alla riflessione, anche al di là dell’aspetto contenutistico, storico, letterario. Ed è il carteggio in sé, lo scambio epistolare, quel gioco a doppio verso tra mittente e destinatario che, ritmicamente, si scambiano di ruolo. Affrontando entrambi, ciascuno a suo tempo, la questione dell’attesa, della messa a tacere dell’immediatezza. Affrontando, quindi, la questione del tempo stesso. Tutti elementi oggi dimenticati, sorpassati dalla fretta, dall’istantaneità dei moderni mezzi di comunicazione. E agli elementi sopracitati, così desueti, non si sottrae neanche questo carteggio tra Hanna Arendt e Hermann Broch. Un carteggio che copre l’arco di tempo che va dal 1946 al 1951. Anni gravidi di avvenimenti, anche tragici, e ricchi di fermenti culturali. E di tutto ciò questo carteggio è latore e testimone.
Ben inquadra il contesto e la cifra, e del carteggio e dei due protagonisti di esso, Roberto Rizzo nel saggio introduttivo che parte con il titolo Un capitolo dell’intelligenza ebraica in esilio, perché di questo si tratta. Uno scambio epistolare che dipinge, proprio come fosse una raccolta di istantanee, l’amicizia e la profonda stima intellettuale tra due menti che della cultura ebraica e dell’esilio hanno portato addosso tuta la complessità. Un saggio introduttivo estremamente importante anche per dare al lettore quella unità e coerenza di percorso non sempre facilmente rintracciabile in un carteggio come questo in cui le missive sono solo una delle componenti del dialogo tra i due. Dialogo fatto di incontri, telefonate, discussioni che queste lettere spesso richiamano e a cui alludono. Si tratta dunque di un saggio assolutamente funzionale alla lettura del libro, così come il ricco apparato di note.
L’amicizia tra il tombeur de femmes, autore de La morte di Virgilio e l’autrice de Le origini del totalitarismo avviene a New York, nel 1946, a casa della comune amica Annemarie Meier-Graefe che diverrà la moglie di Broch. L’accenno ai due titoli dei libri e alla passione di Broch per le donne non appaia banalizzante. Si tratta in realtà di elementi fondanti nell’amicizia e nella dinamica intellettuale del rapporto tra Arendt e Broch. Amicizia che si mantenne in un ambito di assoluta lontananza da qualunque tentativo di seduzione e che vide nei libri citati tantissimi elementi del reciproco interesse intellettuale.
Il carteggio delinea non solo un contesto culturale di estrema importanza (per i nomi citati e per la portata degli argomenti trattati) ma anche un agone intellettuale fatto di sollecitazioni, richieste di consigli, critiche anche feroci, restituzione di ciò che, allora, era il mondo e la dinamica editoriale. Ma è, forse soprattutto, uno spaccato importante della rigorosa etica insita nel lavoro di questi due grandi intellettuali. Etica che traspare dalle loro riflessioni, per esempio, sull’argomento ancora caldo e drammatico dei campi di concentramento, ma ancor più su quello dei diritti umani, su cui entrambi centrarono molta della loro produzione editoriale e interesse di ricerca. Sono, quelle parti delle lettere, materiale da leggere con estrema attenzione perché ci si trova davanti davvero a pagine di filosofia del diritto, rigore logico e procedimento scientifico nell’argomentare e scrivere. Tra l’importanza della comunità, così essenziale per la Arendt, la sottolineatura della responsabilità individuale di Broch, il concetto di legge, pena, assoluto, si viaggia non solo dentro la personale cultura dei due ma, ancor più, dentro tutto un mondo di rigore intellettuale e potenza argomentativa così autentico di un’900 che appare (ed è), purtroppo sideralmente lontano sia per quanto riguarda le istanze della vecchia Europa ma anche per quelle dell’America in cui si trovarono a vivere entrambi. Una lettura davvero arricchente. Arricchita da tre interessantissimi saggi che la Arendt scrisse su vari lavori di Broch, ed esattamente il denso Non più e non ancora: La morte di Virgilio di Hermann Broch, Hermann Broch e il romanzo moderno, saggio del 1949 in cui già la Arendt parlava della fine del romanzo e, per finire Introduzione ai saggi di Hermann Broch