L’editoria contemporanea e il take away delle banalità
Libro dopo libro è stata tracciata una strada senza ritorno, imposto un nuovo “comandamento editoriale”: consolare. Romanzi sempre più futili, rinunciatari e accomodanti hanno definitivamente rinnegato la loro radice (il Novecento) e smesso di interrogare il tempo che li ospita, così nella “repubblica letteraria dei commissari” (sarebbero oltre 300 quelli in servizio permanente effettivo) trionfano una lingua ridotta a pretesto e un approccio ruffiano che interpretano la definitiva resa all’arte del disimpegno.
di Davide Grittani
Guai a pronunciarla esplicitamente, specie in quei salotti in cui si contempla il defunto (la lingua Italiana) con cinismo e compiacimento. Ma la parola d’ordine dell’editoria contemporanea è “disimpegno”. Un articolato e a suo modo ambizioso progetto di “cazzatologia sociale” che come effetto immediato dovrebbe risollevare i conti della filiera (e ci sta riuscendo) e come terapia a rilascio lento dovrebbe definitivamente convertire il rapporto Libro/Lettore, modificando le reciproche aspettative sentimentali in una semplice amicizia senza pretese. Una convivenza disimpegnata, appunto.
Basta interpretare la piega di alcuni cataloghi, per fortuna non tutti, per capire che libro dopo libro è stata tracciata una strada senza ritorno, imposto una specie di nuovo “comandamento editoriale”: consolare. Romanzi sempre più futili, rinunciatari e accomodanti hanno definitivamente rinnegato la loro radice (il Novecento) e smesso di interrogare il tempo che li ospita, così nella “Repubblica letteraria dei commissari” (sarebbero oltre 300 quelli in servizio permanente effettivo) trionfano una lingua ridotta a pretesto e un approccio ruffiano che interpretano la definitiva resa all’arte del disimpegno. La massiccia discesa in campo di commissari incontinenti, ispettori rissosi, vice questori irregolari, squadre di poliziotti e intere caserme di carabinieri ha invaso le librerie con la pretesa di raccontarci il Paese (cioè un popolo complesso e controverso come gli Italiani) attraverso introspezioni meno che elementari, soluzioni narrative di quarta classe, sperimentazioni stilistiche così squallide da mettere paura per i messaggi di cui si fanno carico (nel migliore dei casi un invito a non studiare, non lavorare, non fare niente, tanto prima o poi qualcosa succede a nostra insaputa). Basta leggere le classifiche di vendita che i giornali pubblicano (non senza imbarazzo, certi che alcune cose siano troppo pure per loro) per accorgersi del crinale imboccato come fosse l’unica strada possibile: come se la sola salvezza dell’editoria venga da lì e chiunque tenti qualcosa di diverso o è un sovversivo o è un folle che non sa cosa l’aspetta. Poi ci stupiamo come mai non riusciamo “ad ascoltare” il Paese che protesta in piazza contro vaccini e green pass, ci meravigliamo di non riuscire più “a interpretare le persone” e le scatole nere che contengono, ci sorprendiamo che ogni tanto compaiano sui muri scritte inneggianti SS o BR (ma non erano morti? non erano scomparsi del tutto?). Contestualmente a questo processo di barbarica regressione delle coscienze – a cui l’editoria si è prestata con imbarazzante naturalezza –, sia l’Oriente che l’Occidente stanno facendo emergere strati di complessità che dovrebbero rappresentare colazione, pranzo e cena della nuova poesia, della nuova prosa e della nuova saggistica planetaria; le persone stanno identificandosi in sbalzi teorico/razionali così ingiustificati che sarebbe compito degli scrittori innalzarli a indagine, analizzarli attraverso romanzi e saggi capaci di attraversare e (se ancora utile) interrogare questo tempo. E invece?
Invece è stata scelta la via più breve, impostando nel navigatore dei Lettori il percorso senza traffico, quello che in un quarto d’ora e passando per l’autostrada ti porta dentro il centro commerciale più grande e comodo che c’è. Niente più campagne, niente più strade secondarie, niente più desiderio di perdersi per vedere che effetto fa. Sembrano così urgenti il desiderio di leggere amenità e la necessità di pubblicare libri che non sorprendano più nessuno (meno che meno gli editori), che persino la fisiognomica dei Lettori è cambiata in pochi anni. Oggi il Lettore sembra finalmente felice, libero da vincoli, soddisfatto delle proprie scelte, al riparo dai dubbi: puro, come puro e leggero lo vogliono alcune trasmissioni televisive italiane del primo pomeriggio, che nascondendosi dietro l’etichetta del disimpegno ambiscono in realtà alla cancellazione della dignità (l’invito è a leggere relativo passo di Profezia di Sandro Veronesi). Un tempo i Lettori erano pieni di dubbi, intuizioni, curiosità ed esigenze, così calati dentro le storie che stavano leggendo o che avevano letto da esserne paradossalmente “parte lesa”, da esserne coinvolti fino al midollo. Basti pensare a I Miserabili e alle domande che, per oltre due secoli, hanno perseguitato il Cattolicesimo: a che serve la pietà? esiste davvero? è possibile ipotizzarla come atto narcisistico e non umanitario?
Eppure oggi più che mai sarebbe drammaticamente utile una presa d’atto degli Scrittori, un patto di responsabilità sociale nei confronti dei Lettori. Una ribellione etica nei confronti dell’editoria commerciale che ne ha addomesticato ogni istinto, ogni talento, ogni stranezza, ogni scorbutica curiosità, ogni necessaria bizzarria, ogni funzione sociale. Oggi più che mai sarebbe utile – anzi necessaria – un’acquisizione di responsabilità degli Scrittori nei confronti di ciò che scrivono, pubblicano e di ciò di cui rispondono direttamente. Non un ritorno al pensiero (“umanamente impossibile considerate le dinamiche del mondo moderno”, secondo Zygmunt Bauman) ma quanto meno un cartello di qualità in grado di rappresentare una frontiera della nostra dignità. O è proprio questo che non si può fare? E’ proprio a questa deriva che non si può rinunciare, perché Il Grande Fratello che si è impossessato dell’editoria le permette in fondo di restare in vita. E ribellarsi alla mano che ti offre da mangiare, non solo non è bello … ma non è saggio.
L’immagine di copertina è di Nicky Persico, per gentile concessione