Pierre Jourde e la ricerca del tempo perduto
Di Geraldine Meyer
Tra echi di Proust, Jules e Jim, The dreamers di Bertolucci, questo L’ora e l’ombra di Pierre Jourde ci conduce con profonda levità nel gioco di luci e riflessi dell’immaginario letterario francese. Una polifonia di piani questo libro con cui Prehistorica Editore prosegue la pubblicazione in Italia del grande scrittore d’oltre Alpe. Un amore di infanzia, un’amicizia maschile in cui trasporto e rivalità sono le due rive tra cui essa naviga, un uomo senza memoria, il passato che torna senza esserne mai, davvero, andato. L’ora e l’ombra sembra quasi un canone musicale, che si snoda su piani sempre più alti pur mantenendo lo stesso giro armonico. Coincidenze che sono ripetizioni, un’infanzia che rimane come qualcosa di vitale eppure fossilizzato in un tempo fuori dal tempo.
L’uomo che racconta torna a Saint-Savin, località balneare la cui ombra e la cui eco non lo hanno mai lasciato fin da quando era bambino. Fin da quando lo sguardo, il profumo, forse l’eterea immagine di Sylvie bambina disegnano in lui un quadro mentale che resterà per sempre davanti ai suoi occhi, modulando ogni suo pensiero. Ma cosa accade quando si ritorna sui luoghi dell’infanzia? Quando si va alla ricerca di quel tempo perduto in cui tutto sembra assoluto, così lontano dal prosaico scorrere dei giorni dell’età adulta. Ci si perde o ci si ritrova, che poi, forse, è la stessa cosa. Tutto attorno un mistero che funziona quasi da contenitore narrativo, da controcanto alla storia di un uomo che, immerso come tutti nel tempo, ne ha cercato ed evitato gli spigoli, le fughe in avanti, il ritmo.
È un libro in cui la questione del doppio, anche se solo sfiorata e narrata per immagini tangenziali, tiene salde le redini del racconto. Proprio come la questione del tempo, di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, tra equivoci, malintesi e adolescenziale volontà di controllo. La voce narrante è un uomo che racconta al figlio ciò che è stato, per lui, un amore vissuto seppure solo sfiorato, cosa è stata la sua amicizia con Julien, alter ego e rivale, cosa ha voluto dire vivere una vita inseguendo un fantasma. Tanto etereo quanto denso, di significati, di simboli, di rimpianti e domande.
Tutto si tiene in questo romanzo di Pierre Jourde in cui ogni personaggio (anche secondario) ogni situazione, ogni intreccio, sono messi lì non a caso ma per cantare l’elegia della finzione, dello spostamento, di quel “facciamo come se” con cui i bambini costruiscono i loro teatri di gioco. Solo che quando questo diventa il modo in cui si gioca da adulti il rischio è quello di guardarsi vivere da fuori. L’uomo che racconta ci appare sempre come accanto alla sua vita eppure profondamente immerso in essa proprio perché, pur volendo viaggiare su una barca del tempo passato non può, come tutti, evitare le falle da cui entra il tempo. Con il suo scandire, allontanarci, ritrovarci e perderci di nuovo. Oppure facendoci ritrovare ma cosa? Un’immagine di ora, con tutte le sue sfumature, o ostinatamente un’immagine di ieri, assoluta perché fuori dal tempo.
Non è un libro semplice questo L’ora e l’ombra che già dal titolo allude ai due poli su cui si dipana la storia: il tempo, appunto, e l’ombra, quelle delle cose, delle persone e dei ricordi. Due poli su cui Jourde costruisce un bellissimo spartito in cui le note vengono accennate, poi calcate, poi annunciate, poi anticipate per tornare al punto di partenza ma con la storia che ha fatto un passo avanti. La fine poi, è lì a dirci che, forse, non esiste il tempo perduto semplicemente perché non si può fare a meno del tempo.
Ombre lunghe
Romanzo
Prehistorica Editore
2021
237 p., brossura