Siamo uomini o caporali?
Di Luca Morettini
Ci sono persone destinate a conoscerti bene e a mantenere, nel corso della vita, questa sintonia. Lo sa il mio amico Simone porgendomi un libro che ha trovato al mercato dell’antiquariato a Lucca (che si svolge ogni terza domenica del mese) e che gentilmente ha voluto regalarmi. “Un libro su Totò”, penso nel ricevere con felicità quel dono inaspettato. Ma sono in errore e me ne accorgerò soltanto qualche ora più tardi mentre lo sfoglio, curioso di sapere cosa mi riserverà la lettura. Non è un libro su Totò. E’ un libro DI Totò. Il suo pensiero, la sua figura, le sue parole. La sua anima che se ne va a spasso sulla carta stampata sotto forma di caratteri neri.
“Siamo uomini o caporali?” non è solo la frase simbolo del principe Antonio De Curtis e il titolo di uno dei suoi film migliori. Condivide quest’ultimo traguardo con una biografia che pubblicò nel 1952 e che oggi risulta pressocché introvabile a causa dell’imminente fallimento della casa editrice. L’edizione che mi è stata donata è della Newton Compton che ripubblicò l’opera nei primi anni ’90, arricchita da alcuni stralci di interviste atte a far conoscere il pensiero di Totò su diversi argomenti disparati (l’amore, il cinema, la comicità, gli animali, ecc), l’elenco completo di tutti i suoi film con relativi incassi e una bella galleria fotografica.
L’aura d’interesse per tale libro mi ha indotto a scavalcare il lungo elenco di opere che attendono da giorni, mesi o anni di essere vissute dal sottoscritto. Doveva andare così. Totò è una figura importantissima per me, quasi un santo. Ho visto alcuni dei suoi film decine e decine di volte, sono entrato talmente tanto dentro quelle battute e quelle gag che potrei averle scritte pure io, come se mi appartenessero. Ma non riescono mai a stancarmi perché Totò riesce sempre a farmi ridere.
E’ uno dei baluardi fondamentali e imprescindibili della comicità nella mia vita. L’ho detto, quasi un santo.
E’ cosa risaputa che il “personaggio Totò” portato a teatro o sul grande schermo era completamente una figura agli antipodi rispetto all’uomo, Antonio De Curtis, nato nel febbraio del 1898 e scomparso nell’aprile del 1967. Ma, personalmente, non avevo mai capito quanto. Esiste qualche intervista in cui è proprio l’uomo a parlare, testimonianze di amici e colleghi, c’è il diverso tono, velato di tristezza, di certe sue poesie. Ma tanto è dirompente e frastornante il personaggio che compare in decine e decine di film e lo si può rivedere in mille forme, tanto è l’opposto nella vita privata. Fatta di miseria, fame, di un sogno, quello del mestiere dell’attore, che fa rima con la parola destino. Vengono tracciati ricordi d’infanzia, ma poche righe e poi ci si concentra sugli anni che vanno dal 1922 al 1930. Gli anni fondamentali della sua formazione, degli scontri con i genitori, dell’osservazione dell’umanità per poter catturare tic, lazzi e vizi e costruire personaggi, battute e gag, di tasche vuote così come le pance, sue e di tutti gli amici attori alla ricerca di un ingaggio che permettesse loro di potersi “drogare” con le risate e gli applausi del pubblico, seguendo una definizione data da Totò stesso nel libro.
C’è tutto in questa biografia: miseria, speranza, il ritratto puro di un uomo così diverso dalla sua figura nell’immaginario collettivo che fa quasi male leggere determinate righe. Ci sono nomi che furono stelle di prima grandezza nell’arte e nel varietà e che oggi vengono letti come fossero archeologia di un tempo che fu. C’è la voglia di vivere e di conquistare la vita.
E poi c’è la morte.
La sì ritrova in molte sfaccettature, ma è la protagonista nel lungo capitolo che racconta della sua tormentata relazione con la soubrette Liliana Castagnola, che per lui si suicidò. A parlare è un uomo nei cui occhi traspariva sempre un velo di malinconia. Una persona buona, un’artista nel senso più ampio che si può trovare in questa parola.
Siamo uomini o caporali? è la vera faccia di Antonio De Curtis al di fuori della maschera che costruì per deliziare il suo pubblico. E la sua lettura non può che far prendere coscienza di quanto grandi e immortali furono tutt’e due. Alla faccia di tutti i critici che lo massacrarono nel corso della sua carriera. Ancora oggi, nonostante sia considerato il più grande attore italiano di sempre, è sempre bene fare questo appunto.