Tre piani, tre mondi. Il nuovo film di Nanni Moretti
Di Rosella Lisoni
Crudele come solo la vita sa essere, l’ultimo film di Nanni Moretti tratto dal romanzo di Eshkol Nevo colpisce dritto al cuore e lascia senza fiato. L’inquadratura iniziale, avvolta dal buio e dal silenzio, conduce lospettatore in territori avvolti dal mistero, dalle tenebre come a suggerire e ad evidenziare che la vita infondo è un mistero, un enigma e che il soffio della leggerezza è l’unico segreto per andare avanti, per vivere al meglio, quasi in passo di danza, quest’avventura. I tre piani sono quelli di un condominio romano in cui ogni inquilino conduce un’esistenza difficile, problematica, la cui mente è agitata da fantasmi lontani, da fragilità estreme, da turbe che rendono il suo cammino una sofferenza atroce. Un incidente automobilistico stravolge per sempre l’apparente normalità degli abitanti del condominio e fa emergere, quasi come in un caleidoscopio, i drammi individuali dei personaggi del film e le difficoltà nell’essere genitori, vicini di casa, fratelli o marito e moglie.
Da quel preciso momento le vite delle tre famiglie cambieranno per sempre per correndo strade differenti ma legate da drammi profondi e da un’infelicità comuni. Lucio e Sara hanno una figlia che temono essere stata molestata dall’anziano vicino di casa al quale era stata affidata, elemento questo che insinua nella mente di Lucio il tarlo dell’ossessività che cambierà per sempre l’assetto familiare.
La neomamma Monica costretta a crescere quasi in solitudine la sua bambina a causa delle lunghe assenze per lavoro del marito, teme di cadere nella depressione e impazzire come è capitato alla madre. In fine una coppia di magistrati che reagisce all’accusa di omicidio mossa contro il figlio in modo gelido e anaffettivo.
Film ben diretto, con grandi attori e privo della tipica ironia morettiana. Moretti torna al cinema alla grande, con uno sguardo non più intimistico o egoriferito, ma rivolto al mondo, ai problemi altrui. L’universo maschile ne esce perdente, le fragilità, le incapacità a gestire i problemi sono legate alle figure maschili, quasi degli inetti, per rubare il termine a Svevo, mentre le donne sono le uniche figure in grado di trovare soluzioni che permettono loro di non soccombere di fronte ai graffi della vita o di redimersi, proprio come accade a Dora che riesce a cambiar vita, a rompere i lacci di un legame disfunzionale col marito, a prendere in mano la sua vita, recuperare il rapporto col proprio figlio e rifiorire, proprio come il vestito floreale che acquista e indossa nell’incontro col figlio.
La forza di rinascita di Dora è la chiave di volta del film, il messaggio di speranza che l’ultimo film di Nanni Moretti lancia, la forza delle donne di riuscire a percorrere la strada maestra, di rompere con una vita che costringe a vivere esistenze dolorose contenute in appartamenti dove si consumano drammi enormi, dove si è incapaci di comunicare con gli altri.
“Mi viene quasi voglia di suonare ai loro campanelli e dire loro di uscire da lì e vivere” sussurra Dora seduta nella sua macchina con gli occhi rivolti all’appartamento in cui aveva vissuto la sua vita con Vittorio, marito rigido e impetrabile. Lasciando il suo appartamento si aprirà ad una nuova vita, scoprirà l’importanza dell’amore materno e vivrà quasi una nuova maternità diventando nonna.