Le mille luci di New York nella penna di Cameron
Di Geraldine Meyer
Pochi scrittori contemporanei sanno, come Peter Cameron, raccontare la precarietà dei rapporti umani, quella inscalfibile solitudine che li accompagna. Anche in questo Anno bisestile, da poco mandato in libreria da Adelphi, ci confrontiamo con questa sua cifra. Un libro degli anni ’90, in origine pubblicato a puntate sulla rivista 7 Days, che ci porta al primo Cameron, esponente forse suo malgrado di quel minimalismo che tanta aria nuovo portò alla letteratura degli anni ’80, prima di diventare, per qualche scrittore, una scusa per cimentarsi con banali trascuratezze.
In una New York anni ’80, Cameron mette in scena la vita di un gruppo di persone, schegge impazzite, anime vaganti in una città cinica e spietata eppure, forse proprio per questo, unica e irripetibile. E lo fa con lucido realismo ma anche con grazia. Nessuna città, come New York, avrebbe potuto essere teatro perfetto di questa commedia umana in cui quel nomadismo geografico, tipico degli americani, pare diventare un nomadismo sentimentale, con uomini e donne dalle vite così diverse e, proprio per questo, così uguali. In bilico tra la vita frenetica delle mille luci della Grande Mela e l’essere sull’orlo della danza impazzita di tante monadi.
In queste pagine Cameron ci porta in una città-mondo, abitata da persone che ci appaiono quasi come precursori anche di ciò che poi, a distanza di più di trent’anni, siamo divenuti anche noi. Cultori inconsapevoli della flessibilità, e non quella lavorativa. Quella poi tanto colitvata dai social con il loro appiattire tutto dietro l’apparire ad ogni costo. Qui, in queste pagine, i like non si mettevano ancora sotto foto e post ma, metaforicamente, si mettevano sotto giorni, gesti e storie, con la stessa repentina velocità con cui venivano tolti.
David e Loren, divorziati ma disorientarti dai loro stessi sentimenti, Heat, giovane fotografo che diverrà, per un anno, l’amante di David prima di essere coinvolto in una brutta storia di presunte morti, Lillian divorata da una solitudine fredda che cercherà di sconfiggere con la procreazione assistita. Loren stessa che andrà, in una inconcludente parabola di tentativi, a scontrarsi con il suo non sapere chi e come amare. Coniugi di mezza età che si prendono un anno sabbatico l’uno dall’altro per non dirsi che forse qualcosa non funziona salvo non accettare che, effettivamente, qualcosa non funzioni. Amanda e il suo furibondo cinismo per il quale la galleria che dirige diventa quasi un set perfetto di una altrettanto perfetta, e disperata, sceneggiatura.
E tutto attorno una New York perfettamente dipinta nei suoi tic, nella sua rutilante vivacità, in quella fretta che porta ciascuno a concentrarsi su sé stesso, incapace di guardare gli altri perché non c’è tempo. E quando si prova a farlo, gli altri sono già altrove. Cameron costruisce un libro in cui sembra che i protagonisti, anche quando si trovano a condividere gli stessi spazi, non condividano lo stesso tempo. Sempre in anticipo o in ritardo, incapaci di prenderselo un po’ di tempo, vittime del loro stesso bisogno di reazioni immediate alle inevitabili difficoltà e scivolate della vita. In tutto questo i sentimenti ci appaiono come sfere all’interno di una palla che gira, un po’ come quelle delle lotterie. Se esce il numero giusto va bene, se esce quello sbagliato il gioco prende un’altra piega.
Anno bisestile, già dal titolo, ci porta in una eccezione del calendario, con quel giorno in più che può essere un salto. Ma verso cosa non si sa. Un Cameron, verrebbe da dire, in stato di grazia, capace di reggere una storia quasi esclusivamente sui dialoghi, senza perdere in equilibrio. Non sempre ha saputo mantenere la stessa forza in tutti i libri successivi.
Fabula
Romanzo
Adelphi
2021
275 p., brossura