Seduti e sedati. La meccanica del divano, di Francesco Dezio
Di GeraldineMeyer
Gli anni tra il 1960 e il 2010 sono stati profondamente destabilizzanti per la classe operaia. In bilico tra boom economico e derive globalizzanti essa è andata perdendo, sempre più, identità e forza dirompente. Anche se, sarebbe più corretto dire che sia stata esautorata della sua cifra da un mercato, da un sistema sempre più ingordi e famelici.
Di questo ci parla Francesco Dezio nel suo La meccanica del divano, esempio feroce e sarcastico di letteratura del lavoro.
Siamo in una Puglia che diviene quasi emblema di un paese sempre più appiattito sulla mediocrità e su un malinteso senso di rivalsa. Cieco e sordo a qualunque cosa non sia la suadente voce del mercato e del profitto. Che ha mutato il mondo del lavoro (con la complicità della classe politica) a partire dalle parole usate per parlarne. Delocalizzare al posto di sfruttare manodopera a basso costo contando su vantaggi fiscali; esuberi invece di licenziamenti. Una sorta di abbuffata anestetizzante condita con supposte di flessibilità.
La meccanica del divano è costruito come un’antica tragedia in cui la voce e le storie dei protagonisti si intrecciano al coro, di volta in volta, del mercato, della stampa, degli influencer, delle vecchie e polverose tradizioni e dei vari esperti di finanza e marketing, braccia armate di quelle creature che vivono di vita propria chiamate holding, corporation e multinazionali.
Tra queste pagine, tra dialetto e linguaggio social, questa deriva ha la voce di Mannucci, re dei divani, imprenditore di successo, partito come vuole la narratologia, dal basso. Da tapezziere nella provincia pugliese a businessman quotato alla borsa di New York. E ha la voce di Nuccio e Michele, due operai che, a un certo punto, assumono come fosse una droga l’ambizione di diventare come lui. Da operai a imprenditori, con un passaggio che è quello di un’intera epoca, fatta di geopolitica, sfruttamento e globalizzazione di un mercato che fabbrica i suoi stessi leader-schiavi per poi potersene cibare. Tutti vittime, lavoratori e padroni (questi anche complici) dello stesso sistema. Che impone di diventare giganti per perdere, da entrambi i lati della barricata, il controllo sul proprio lavoro.
La meccanica del divano è una lucida e spietata cronaca di una discesa negli inferi di un sistema di lavoro senza regole. Con il liberismo al posto dell’etica, la desindacalizzazione al posto delle regole e l’altalena tra crescita e ridimensionamento come specchietto per le allodole, per mascherare la protervia del mercato. Assurto a ruolo di entità a sé, golem ingordo e autoreferenziale.
Il tutto condito da insaziabile fame di sesso (divenuto anche quello una merce), tette gonfe e sogni da pornostar di chi vive solo nei bit di un social o di una webcam. Ma qual è la vera pornografia? In un mondo in cui anche i set dei film a luci rosse sembrano immacolati rispetto a un consiglio d’amministrazione.
È questo libro amaro ma dalla tagliente precisione nel raccontare cosa sia diventato, oggi, il mondo del lavoro. Cosa si sia perso in termini di mestiere, competenza, identità. È una lettura durante la quale scappa anche da ridere ma è quel riso a bocca storta, quasi una smorfia. È il mercato bellezza.
Solstizio
Letteratura del lavoro
Ensemble
2021
288 p., brossura