Le parole e le case
Di Geraldine Meyer
Immaginata, sognata, amata, odiata. Cos’è una casa? Mai solo un insieme di stanze, mai solo il contenitore dei nostri giorni. Mai solo lo spazio in cui ci muoviamo sicuri oppure circospetti. In questo libro di racconti, Le stanze del tempo, Piera Ventre ci porta nelle tante declinazioni della parola casa. Una parola portatrice di vite intere, di storie, progetti, delusioni.
La casa è la persona (o le persone) che ci vie. E le persone sono le loro case. Comunque. Vi è continuità tra l’una e le altre. Una continuità che è fatta di somiglianze ma anche di inaspettate rivelazioni.
La casa cela e disvela, nasconde e mostra, racconta e omette. In ogni caso, sempre, non può star muta. Pure quando è disabitata parla e lo fa con la nostra immaginazione, con le nostre esperienze o con la mancanza di esse. Che entrambe ci guidano. La casa di quando eravamo bambini, la casa dei nonni, quella in cui si trascorrevano le vacanze, quella che, con nostra gioia e sorpresa, si apre all’improvviso. È uno spartito di giorni, mesi, anni.
Sono belli questi racconti di Piera Ventre. Sono belli di quella bellezza di cui, a volte, sanno ammantarsi le piccole cose. Oggetti ma anche voci, luci, ombre. E ricordi. Ogni casa è il racconto di una persona, di ciò che quella persona era o si pensava che fosse. E allora il suo mostrarsi o ritrarsi va insieme al mostrarsi o ritrarsi della sua casa.
Un libro lieve eppure, a tratti, inquieto e inquietante, con quella luce soffusa di vaghe presenze che, in alcuni momenti, ricorda il mistero delle pagine della Ortese. Quel luogo, la casa, in cui più dovremmo sentirci sicuri e in cui capita invece di essere colti dalla paura. Quel luogo che ci mette di fronte, quando è casa d’altri, a qualcosa che non avremmo dovuto scoprire e sapere.
Stanze buie, altre gravide di luce. Il ricordo di una pioggia scrosciante o di un vento impetuoso che batteva sui vetri. E da lì, da queste mappe domestiche, il racconto parte per tanti altrove. Ma sempre con una casa al centro. E allora è soffusa malinconia di persone, di oggetti dentro quelle case e dentro la vita di quelle persone. In un continuo insufflarsi di vita reciprocamente.
Una rosa è una rosa, si dice. Ma lo stesso non può dirsi di una casa. Che è una e tante. Che parla con voci passate ma che indica, anche, voci future. Che dice l’autenticità ma pure un palcoscenico di bugie. Dare aria alle stanze era il titolo di una poesia. E questo libro ci riesce anche quando racconta di stanze e case in cui si entrava controvoglia perché ospitavano un vecchio malato, o la follia di una donna sola circondata da gatti, cani e acro odore di morte.
Una casa, poche o tante stanze a cui si accedeva aprendo porte o da cui restare fuori senza aprirle mai quelle porte. Chiedersi cosa ci sarà dietro e provare il conforto di rispondersi “non so”. Un bel libro, come uno specchio che si direziona, senza sosta, a riflettere dentro e fuori, fuori e dentro. Perché le case sono intime tane ma anche palcoscenici teatrali.
Romanzo
Neri Pozza
2021
256 p.,