Pion coiffe
Di Arianna Bonino
Stefan Zweig (Vienna, 28 novembre 1881 – Petrópolis, 22 febbraio 1942) è stato uno dei massimi scrittori austriaci. Basterà dire che fu un convinto antifascista e che si formò in una Belle Époque di cui fu testimone e voce più che significativa.
Ogni scrittore ha una novella, un romanzo, un racconto a cui, volente o nolente, affida un ruolo di addio.
Zweig ha deciso che la sua “Novella degli scacchi” fosse il suo esecutore testamentario. È il suo ultimo racconto: un lampo dietro l’altro, sono fendenti di carta le pagine. Poco dopo, il buio definitivo si fa abbacinante e lo estingue.
Un racconto a due colori, senza vie di fuga.
Sul transatlantico diretto a Buenos Aires i passeggeri sono comparse in attesa che quel sipario blu si apra su una qualsiasi terra che tarda a comparire.
Sono solo due i personaggi che tentano una tridimensionalità, qui: il dottor B. e il campione del mondo di scacchi Mirko Czentovič.
Una sola cosa si fa su quel transatlantico, in attesa che l’orizzonte offra un appiglio: si muovono i pezzi degli scacchi. Czentovič contro il dottor B., barrato in un silenzio totale, arroccato nel suo riserbo autistico, impermeabile. Non ne sapremo mai nemmeno il nome.
E il transatlantico va, il blu mistico della notte richiude il suo mistero d’alghe dietro la lama della prora.
Il tempo non ha misura, lo spazio non ha dimensione, in un viaggio statico, una nave fantasma in un sogno sospeso.
Sono solo l’alabastro e l’onice a lottare la silenziosa danza delle ore. Lo sguardo in tralice di un cavallo abbattuto si spegne sul velluto di porpora, mentre la muta avanzata del giullare sbriciola la ragnatela dell’esercito nero e s’insinua nella quiete obliqua, finita nell’istante bianco. Un prisma di luci scintilla il suo vetriolo sulla doppia geometria sempre più sgombra e crudele.
Il dottor B. è mistero. Non si sa nulla di lui. Non parla. Ma anche il suo silenzio è vulnerabile, come un pezzo degli scacchi sorpreso da una mossa imprevista.
Da cosa sta muovendo, cosa fugge?
La sfida Czentovič – dottor B. si fa torneo. Ogni incontro è un giorno in più strappato alla fine. Il dottor B. dopo la prima sconfitta, conclude con una patta il secondo giro. Czentovič vacilla, una crepa sottile inizia a scalfire la sua sicurezza. Si decide un terzo incontro, una rivincita.
Ancora una notte, ancora un giorno.
Ogni mossa spoglia i duellanti di un velo, li espone, li scopre.
Tanto che, una notte, il dottor B. mentre le ombre sulla trama a scacchi si diradano, di mossa in mossa, di colpo in colpo, racconta.
La sua è una storia reale, la sua, e spinge per svelarsi, per essere narrata e così farsi più vera.
Cosa sta portando con sé il dottor B.? Chi è?
E lui racconta…
La Gestapo smascherando un giorno il suo segreto attivismo anti- hitleriano, aveva escogitato per lui una sottile e terribile condanna: isolamento perfetto in una stanza d’albergo, in una bolla di solitudine assoluta, tempo immobile scandito esclusivamente da aberranti interrogatori, unico contatto con il mondo esterno. Il dottor B. nella cella interiore e neutrale in cui è costretto, sfiora l’abisso dell’alienazione.
Quanto vale una via di fuga, quanto vale un pensiero, un gioco mentale a cui affidare il tentativo di salvezza?
Tutto.
Gli scacchi: 150 partite esemplari ed estreme, disputate da campioni mondiali sono descritte in un libretto, un manuale custodito nella giacca di uno di quei brutali ufficiali che lo tengono segregato, uno di quelli che lo seviziano, che lo torturano. Un innocuo manualetto, una piccola raccolta. Un libro.
Il dottor B. ruba il libro. Non dorme più, apparecchia i pezzi, muove gli occhi nel buio, dirige l’orchestra con la mente, distrugge eserciti col pensiero, impara ogni mossa senza muovere un pezzo.
Come Rachmaninov, che trova il completamento alla partitura dell’impressionante Concerto per pianoforte n. 3 op. 30 su un transatlantico, senza pianoforte, sulla tastiera muta, suonando e sentendo nella mente ogni vibrazione e trova l’attacco sommesso, il florilegio corposo degli arpeggi, del martellare senza tregua fatto di discese e risalite da perdere il fiato, fino alla radura finale che libera la tensione violenta del terzo movimento.
E così il dottor B. nella sua cella fisica costruisce una cella di pensiero, volontaria, dove orchestra partire raffinatissime con se stesso, esaltando la strategia, limandola fino a padroneggiarla come nessun altro. Nel sonno prosegue le mosse, non c’è più giorno, non c’è più notte. Solo quel confine mentale fatto di caselle nere e bianche e ombre di battaglie, dove rifugiarsi a vivere.
Finalmente libero un giorno dal confinamento fisico, si porta dietro la cella mentale: è lei che adesso rischia di schiantarlo nella follia. Sa che l’unica mossa possibile per evitare la pazzia è non fare mai mosse tangibili, reali. Non giocare mai più.
Ma su quel transatlantico dove il dottor B. attende il viaggio e l’approdo, c’è anche il campione del mondo, c’è Czentovič. E il dottor B. s’inganna, cedendo alla sfida, sedendosi al tavolo, muovendo i pezzi di cui è ormai ostaggio e preda.
Perde, patta, vince, rivincita. Ormai la scacchiera si è fatta specchio infinito in cui cadere senza arrivo.
È sul ciglio, guarda nello specchio. Cosa vede, cosa trova in quel gioco a rimando infinito di forme, di ombre, di cavalli in fuga, torri, arrocchi? Un abisso in uno specchio.
Un istante ed è già oltre l’orizzonte degli eventi con gli occhi, la bocca, le mani, le spalle, le gambe.
Solo un lembo minuscolo è aggrappato al di qua dello specchio.
E in un tocco tanto flebile quanto decisivo lo risucchia indietro, prima del precipizio. Il dottor B. arresta il gioco. Si strappa dalla spirale e abbandona.
Ma è anche un’altra la sfida che si consuma su quel transatlantico. È la partita della barbarie contro l’illuminazione, della bruttura del nulla e del nazismo contro l’umanesimo e l’uomo stesso, che ne uscirà sconfitto.
Zweig non profetizza e non preconizza, lui narra la storia della disumanità, del tentativo nazista di annientare gli impulsi e la vitalità dell’intellighenzia austriaca. Sappiamo come è andata, come è finita, quella che era una fine fin dall’inizio.
Cieco e crudele è il modo degli scacchi, dove la vita, nera e impenetrabile, dovrebbe aver la decenza di giocare dando un vantaggio al piccolo principiante bianco. La vita dovrebbe avere la decenza di giocare con un pion coiffé che si faccia riconoscere…
Zweig riesce a salvare il dottor B., stappandolo via dalla scacchiera di specchi prima che precipiti nell’abisso.
Ma poi c’è lui. L’ anno dopo la pubblicazione di “Novella degli scacchi”, fuggito lontano, all’altro capo del mondo – ma non allo specchio – Zweig si libererà della vita, senza lasciare in stallo la partita col mondo e con se stesso, perché “niente al mondo è in grado di esercitare una tale pressione sull’anima umana come il nulla”.