Simenon viaggiatore
Di Geraldine Meyer
Sebbene siano altri i libri di Simenon che hanno fatto di me una sua lettrice fedele e appassionata, la lettura di questo A margine dei meridiani mi ha fatto pensare di trovarmi tra le mani una sorta di distillato del grande scrittore. La certezza di avere a che fare con un uomo che non poteva non scrivere. Quasi impossibilitato a guardare il mondo senza il filtro, o chiave di lettura, di chi sa che questo sguardo passerà inevitabilmente attraverso le parole e il racconto.
A margine dei meridiani è il terzo libro di reportage di viaggi attraverso i quali, grazie ad Adelphi, abbiamo conosciuto un Simenon al di fuori della forma romanzo e racconto. Ma in queste pagine è possibile, forse in filigrana, trovare quella visione di uomini e cose riversati nei personaggi delle sue opere letterarie. Quel disincanto che ha sempre fatto da carburante sia per il suo cinismo (nel senso più filosofico del termine) sia per la sua fame di vita. Quella fame che è anche ciò che gli ha sempre consentito di avvolgere di indulgenza le sue storie. Ma non l’indulgenza di chi guarda dall’alto le umane cose quanto, semmai, l’indulgenza di chi si sa parte stessa delle cose.
E non a caso tutto ciò emerge nelle pagine di un libro le cui immagini non arrivano dalla fantasia letteraria (che per altro in Simenon ha sempre avuto qualcosa di lucidamente scientifico) ma da persone e situazioni incontrate durante il viaggio.
Dalla Lapponia alle Galapagos, da Panama a Tahiti, Simenon racconta uomini, donne, incontri, situazioni con l’ossimorico appassionato distacco di chi vuole conoscere e comprendere con quella curiosità che sa come non serva giustificare tutto ciò che è umano. Ma incontrarlo. Senza lasciarsi influenzare dalle sovrastrutture culturali, da pregiudizi e convinzioni altrui.
E a tal proposito è proprio il viaggio a diventare metafora di tutto ciò. Simenon infatti racconta di quando decise di risalire il Nilo sentendosi rispondere solo con la non fattibilità del progetto. Viaggio che invece fece seguendo solo la sua idea: “Probabilmente dovrà ingaggiare dei portatori per attraversare la foresta. Ne avrà per tre mesi.” Questo gli dicono. E invece no. “E invece no. Tre giorni esatti, perché non solo c’è un’altra strada, ma anche una corriera due volte a settimana.” E conclude scrivendo: “Questo dimostra che non bisogna mai informarsi in anticipo circa la fattibilità di un viaggio. Sul posto si trova sempre ciò che occorre.”
E queste parole sembrano una bussola che Simenon utilizza non solo per i viaggi ma anche per la scrittura e il suo essere nel mondo con la scrittura stessa. Bussola che in questo A margine dei meridiani guida Simenon tra incontri e dialoghi in cui il più piccolo dettaglio, l’apparente insignificante parola o considerazione divengono una mappa, umana, antropologica, sociale, per incontrare il mondo, ascoltarlo e raccontarlo. Proprio da “uomo-scrittore”. Come nel reportage alle Galapagos in cui l’autore di Maigret sembra sovrapporsi al cronista. Scrive infatti Matteo Codignola nella postfazione (non a caso intitolata Simenon nudo): “ Dall’autore di Maigret Parsi Soir voleva infatti un numero di pezzi su un misterioso caso di nera ancora aperto. […] Il mestiere è tale che con qualche ritocco il breve feuilleton diventerebbe un romanzo attraente – lo diventerà, e chi vuole capire cosa intendesse l’autore per ritocco deve solo rileggersi Hotel del ritorno alla natura.”
Simenon appare qui davvero nudo, nel senso che appare come ciò che è, e cioè un segugio. Che segue e insegue chiunque e qualunque cosa susciti la sua curiosità. Che è curiosità di uomo e di scrittore, impossibili da separare, come si diceva prima. Per questo Simenon in A margine dei meridiani è davvero nudo.
Piccola Biblioteca
Reportage
Adelphi
2021
223 p., brossura con foto dell'autore