Storia di Giuseppe Dozza, il più amato sindaco di Bologna
Di Geraldine Meyer
Cade proprio quest’anni il centenario della nascita di Giuseppe Dozza. È così che, alla fine del 2020 l’editore Minerva decide di pubblicare un libro dedicato alla figura di quello che è stato, tra tante altre cose, uno dei sindaci più amati di Bologna. A chi, meglio che a Maurizio Garuti, commissionare un testo di questo tipo? Così Maurizio si mette al lavoro, da bravo artigiano e da bravo narratore. Consulta testi sulla figura di Dozza, su Togliatti e lo stalinismo, su Dozza stesso e, avvalendosi anche del prezioso archivio fotografico di Walter Breviglieri, confeziona questo libro, Ritratto segreto di Giuseppe Dozza. E come nelle sue opere migliori, storia e romanzo si mescolano regalando ai lettori pagine di piacevolissima lettura. Scrive in esergo lo stesso Garuti: “Questo è un romanzo ma per scriverlo mi sono avvalso di varie fonti storiche. Nelle pagine che state per leggere molte cose sono rigorosamente vere; altre, seppure inventate, sono rigorosamente verosimili.” Storia dunque e “finzione” romanzata che nulla toglie alla realtà e alla verosimiglianza.
Il libro si apre con quella che dovrebbe essere la voce di Dozza in una fredda sera a Mosca. Siamo nel 1938 e, come scrive Garuti: “Il Lux non era un albergo per turisti. Mosca nel 1938 non era una città per turisti.” Cosa ci faceva dunque Dozza nella capitale sovietica? Una vita da fuoriuscito, in Francia e in altri paesi. Un nomadismo e uno sradicamento obbligato per fuggire ai mastini dell’Ovra fascista. Dunque a Mosca perché? Per sentirsi al sicuro? No, non quella volta. “Ero venuto a Mosca come imputato. Non di reati. Imputato di errori. E quindi di colpe. Non sapevo quali.” Entriamo subito, dunque, in quel clima di terrore e purghe che molte coscienze fecero traballare. Soprattutto quelle di chi ci aveva creduto nel comunismo, per esso si era battuto sacrificando ogni aspetto della propria vita. Dozza, come altri, era fuggito dal nemico esterno per trovarsi ad affrontare un nemico all’interno di quella “famiglia” politica in cui mai si sarebbe aspettato di trovarlo. Sono pagine tese queste del libro che molto bene ricostruiscono il clima di quegli anni all’interno della galassia comunista. Processi sommari, sparizioni, delazioni, sospetti. In una cornice di assoluta ortodossia dalla quale non ci si poteva scostare pena, se andava bene l’espulsione, se andava male, la vita.
Seguiamo dunque Dozza in tutto il suo percorso politico e umano, con il suo rientro in Italia e i segni lasciati da quella notte moscovita. Che sono segni politici e umani. Che si terrà addosso per sempre. Pagando conseguenze pesanti soprattutto sul piano personale. Perché il suo impegno politico non viene mai meno, (il PCI prima lo espelle poi lo riaccoglie) coinvolgendolo totalmente a scapito della sua vita familiare e, in particolare, del rapporto con sua figlia di cui Garuti ricostruisce gli strappi attraverso l’uso delle lettere che la ragazza scrisse a suo padre. Lettere solo leggermente modificate per esigenze narrative ma assolutamente autentiche.
Poi la sua avventura come sindaco di Bologna, il dolore per la vicenda che riguardò un suo amico e collaboratore quel Mario Soldati (omonimo dello scrittore) le cui vicende sono state ricostruite nel libro di Domenico Del Prete Il processo di Via Barberia. Il suo indefesso impegno per una città che usciva provata dalla guerra e in cui bisognava ricostruire cose e persone. Fino alla malattia che ne avrebbe richiesto le dimissioni anche prima di quanto non sia avvenuto. Ma Dozza ancora una volta ubbidì al partito che gli chiese di restare al suo posto fino a quando non fosse stato trovato un sostituto all’altezza. Fino alla fine, seppure dilaniato da non pochi rimpianti personali, Dozza fu un uomo con la politica nel sangue. E questo testo ce ne restituisce la storia e le complesse sfumature di cui era fatta la sua vita e la sua persona.
Romanzo
Minerva
2021
191 p.,