La poesia oscena e autentica di Simone Cattaneo
Di Nicola Vacca
Simone Cattaneo (1974 – 2009) con la sua parabola esistenziale tragica è una storia che va raccontata con tutti gli eccessi che porta con sé la sua poesia crudele e autentica.
Sono passati tredici anni dal suicidio del poeta di Saronno, che ci ha lasciato solo tre libri, Nome e soprannome (Atelier, 2001), Made in Italy (Atelier, 2008) e il postumo Peace & Love (uscito postumo nel 2012 da Il ponte del sale in un volume che raccoglie anche i due libri pubblicati in vita).
L’eccesso e un cinismo sempre vigile sulla scarsa lucidità di un quotidiano in preda al caos sono le caratteristiche principali della poesia di Simone Cattaneo, un poeta che non teme la deflagrazione delle parole, non ci pensa due volte nell’usare una lingua urticante e poco accomodante nel disegnare con i sui versi le bugie illusorie di una diffusa pratica consolatoria.
Cattaneo è crudele nel guardare in faccia la realtà, blasfemo nel mettere insieme tutte le dissonanze del vivere, non fa sconti nemmeno a se stesso quando carica le parole come proiettili e le affonda nella carne viva.
Sanguina la poesia di Simone Cattaneo, che scrive versi per affondare se stesso e il mondo in cui vive.
«Il male di vivere – scrive Roberto Batisti – tende oggi a esprimersi in stili più intricati e intellettualistici, dalla superficie molto più pacata, propri di chi perlustra le angosce cosmiche dalla propria cameretta e magari da una connessione internet; nulla di più lontano dall’ethos stradaiolo di Cattaneo (o meglio della sua voce poetica). Se non la sua nera e intransigente visione del mondo, almeno la sua lingua secca e diretta, in cui le parole si presentano ormai alleggerite dalle risonanze acquisite in secoli di storia dell’italiano, e in un certo senso devono forgiarsele ex novo, può trovare affinità con quanto oggi si compone in ambiti diversi da quelli più tradizionalmente letterari: ad esempio, nella poesia orale-performativa».
Simone Cattaneo è stato un grande della poesia italiana, un incompreso dalla critica che forse ha punito i suoi eccessi verbali e il suo pensiero crudele e blasfemo.
«Cattaneo è come la sua poesia, – scrive Flavio Santi – franco e schietto, non fa la corte a nessun potente di turno, critico e poeta, lui pensa a vivere e a scrivere. Ma nel nostro bel paese questo significa una sola cosa: isolarsi. Per questo Cattaneo non è ancora valutato come merita. Lo vedete nelle antologie che contano? Ai festival di tendenza? No. No, perché – sembrerebbe un paradosso, ma è così – Cattaneo pensa a scrivere, e non a – prendo in prestito la brutalità del suo linguaggio – leccare il culo».
Negli anni in cui era in vita è stata sottovalutata la volontà di potenza micidiale della sua parola, scritta senza filtri per affondare, oscena, crudele e autentica fino a raggiungere quell’eccesso che diceva sempre la verità.
Simone è stato un poeta che ha dato fastidio, soprattutto alle accademie e ai circoli letterari dei benpensanti.
«Un centinaio di poesie: questa è l’eredità, – scrive Davide Brullo – fragile come una foglia, duratura come un’incisione su pietra, di Simone. Il poeta Simone Cattaneo continua a dare fastidio, anche post mortem. In molti hanno rifiutato di pubblicare versi come questo, «Spompina dietro la stazione Garibaldi per comprarsi Chanel n° 5/ e imitare Marilyn Monroe», e via precipitando nell’osceno che è l’uomo, nel gorgo del perverso. I letterati puri di cuore (e poveri di genio), i critici con la fedina bibliografica trapuntata di diamanti, si sono dimenticati la legge più antica della letteratura: uno scrittore sfonda il male, lo feconda con la sua scrittura, donandoci gli antidoti per vincerlo. Sperimenta tutto per noi, soffre ogni male per esiliarci dalla sofferenza, si sacrifica, si scotenna per la nostra salvezza. Ma a nessuno importa più della letteratura, tanto meno ai letterati, che vogliono il posto fisso nelle antologie scolastiche, il prepensionamento dal genio, il sindacato degli scrittori e uno scranno al Senato».
Simone Cattaneo è il nostro poeta nero. Come Artaud scrive la parola servendola. Quello che a lui interessa mettere in scena è un teatro della crudeltà, appiccare incendi dove tutto scorre in un’ipocrita calma apparente.