Oltre il dipinto-specchio, nell’atelier di Osias Beert
Di Gianrico Gualtieri
La cosa accadde un giorno, avevo fatto una ricerca su Osias Beert (circa 1580-1623), un pittore fiammingo di nature morte, ed ero capitato su un suo dipinto, uno dei cosiddetti ontbijtjes, «colazioni». Beert si dice che fosse stato l’inventore di questo tipo di composizione, nella quale contenitori di diverso genere con alimenti o fiori sono riuniti in un unico spazio. «Unità nella varietà e varietà nell’unità », si legge nei manuali a proposito della composizione; ma che emozione vedere un’applicazione concreta e di così grande qualità di questo principio generale! Nella parte posteriore della scena due piatti in peltro accolgono rispettivamente dolci di fogge diverse, e castagne arrostite; sul davanti un piatto e una ciotola in porcellana Wan-Li (1573-1620), detta anche kraak, fabbricata in Cina a destinazione dei mercati europei, con tipologie e decori differenti da quelle destinate al mercato interno.
Il piatto e la ciotola sono ricolmi di dolciumi, nel piatto ci sono anche delle mandorle. Sulla destra un panino. Dei piccoli frammenti di dolcetti sbriciolati vengono a movimentare la prima linea della composizione, mentre tre bicchieri dalle forme eleganti vengono a disporsi in diagonale, il primo in alto a sinistra, vuoto, gli altri due ricolmi di un vino, forse dolce, rosso e bianco. Ho cominciato a zoommare per osservare meglio i dettagli e la fattura, lustro il dipinto col mio sguardo, il pensiero fa mille associazioni, ripenso ai dettagli della sua vita e della sua pittura e all’improvviso, il dipinto diventa come uno specchio, come se il rame sul quale è dipinto affiorasse lucido e brillante; poi diviene una porta verso un’altra dimensione e mi ritrovo nell’atelier di Beert. Sono sorpreso e anche un po’ spaventato, invece lui non lo è per niente ed io non riesco a spiegarmelo, come non so spiegare il fatto che ci capiamo perfettamente, nonostante io non parli una parola di olandese, tantomeno antico, e lui immagino non parlasse né francese, né italiano. «Prendi un dolce», mi dice, li fanno qui ad Anversa, sono buonissimi. Ne prendo uno e lo mangio, è una specie di torrone morbido, delizioso. «Bevi un po’ di quel vino, quello del bicchiere al centro», proprio quello che ci vuole su questi dolcetti, lo ringrazio e lui mi fa cenno di sedermi. «Allora», mi dice, «che si dice laggiù, nel futuro? Perchè tu vieni dal futuro, vero? Qualcosa me lo dice». «Sì è vero, vengo dal futuro… niente di buono Maestro» «Perchè? Cosa è successo?» «Non abbiamo molto tempo, avrei tante cose da chiederle e forse anche lei; ma il varco si richiuderà, non resterà aperto molto a lungo. Moltissime cose sono cambiate e non necessariamente per il meglio. In questo tempo esistono già delle bombe, nel futuro ne hanno inventate di ancora più grandi, che distruggono città intere, poi di ancora più grandi che potrebbero distruggere l’intero pianeta; ma tutto questo non è niente di fronte al fatto che hanno fatto della verità stessa una bomba e l’hanno fatta esplodere… ora ci sono solo frammenti che sono come piccole parti di specchio, uno di questi è il suo dipinto attraverso il quale sono potuto arrivare, per non so quale miracolo, fino a Lei». Nel frattempo lui si è accesa una pipa e fuma annuendo lentamente… «E che ne è dell’arte? Com’è l’arte nel futuro? E com’è la tua? Perchè tu sei un pittore, vero? Altrimenti non saresti arrivato qui a parlare con me». «Gli uomini hanno fatto scelte guidate dalla loro componente razionale e questo li ha portati verso un grado sempre crescente di astrazione, lontano dal lavoro, dall’esperienza concreta e dal valore, tutte cose essenziali al mondo antico ; per studiare sempre più la matematica e la fisica hanno fatto di tutta la vita un calcolo. Si sono lasciati dietro le spalle il gusto, la bellezza e la qualità del lavoro. La tradizione, l’insegnamento e la qualità del lavoro hanno dapprima lentamente declinato, poi decisamente degenerato in forme intellettualistiche, era l’arte che chiamavano «avanguardia», dopo di che c’è stata una progressiva frammentazione finchè oggi non si capisce più niente, non si sa più né cosa sia esattamente l’arte, né chi sia artista e chi no, dal momento che praticamente chiunque si compra i colori e i pennelli, si autoproclama artista e nessuno trova nulla da ridire».
Sì è alzato ora, è andato alla finestra, il suo strano berretto in testa e la pipa in mano. Siamo nel quartiere dei pescatori, un quartiere modesto di Anversa, e voci salgono dalla strada. Si volta e mi dice: «Non è una buona cosa intellettualizzare troppo, sia noi fiamminghi che gli olandesi ci siamo sempre guardati dal teorizzare e dal costruire grandi sistemi sull’estetica e sull’arte, come si è invece fatto altrove. Noi pensiamo che bisogna restare nella pratica e giudicare la pratica, non le teorie e le intenzioni»; «Mi pare una cosa molto saggia». «Non mi hai parlato della tua arte. Tu cosa fai?» «Io ? Faccio quello che posso, un’arte come la intendete voi, fiamminghi e olandesi. Mi costa molta fatica perchè il vostro mondo non esiste più, cerco di trovarne dei frammenti, uso la logica del mio mondo che ha mandato tutto in pezzi, io invece di pezzi di follia cerco dei pezzi di verità poi cerco di rimetterli insieme». «Una cosa onorevole. Peccato tu non possa mostrarmi qualche tuo lavoro». «Lo vorrei tanto e mi farebbe tanto piacere, ma non è possibile. Già non so come sia stato possibile questo nostro incontro; sento che il nostro tempo sta per scadere». «Lo sento anch’io, come se il tempo avesse accelerato poi rallentato mentre parlavamo. Mi ha fatto piacere incontrarti». «Anche a me Maestro, un grande piacere e un grande onore. Stringiamoci la mano e il tempo si chiuderà e ognuno ricadrà nel suo mondo e nella sua vita». «Sì. Addio uomo del futuro, buona fortuna».