Perché Sanremo è Sanremo?
Di Adriana Sabato
Canzoni che siamo pronti a cantare a squarciagola; questo è il Festival di Sanremo. Canzoni che diverranno il solito tormentone stagionale.
Prevale, oggi più che mai, l’amore per una melodia fatta di versi e ritornelli fischiettati sotto la doccia o improvvisati lungo il corridoio di casa nostra atti a renderci la quotidianità un tantino meno ingombrante.
Anche se c’è da precisare che la melodia, sia nella musica vocale che nella musica strumentale si identifica, nella memoria collettiva, con quel qualcosa che è facile da ricordare – il ritornello – amato, cantato e ricantato semplicemente perché resta in mente. Lo dice la parola stessa.
Così come è doveroso evidenziare che il ritornello possiede già di per sé un senso compiuto in quanto possiede la funzione di far aggrappare l’ascoltatore ad un qualcosa di familiare, conosciuto. È, insomma, sia in musica che in poesia e quindi nella canzone, l’elemento caratterizzante proprio perché ripetuto.
Ma perché Sanremo è Sanremo?
Andiamo alle origini: certamente nessuno prevedeva, soprattutto il suo primo ideatore, Amilcare Rambaldi (un commerciante di fiori di Sanremo), che il Festival avrebbe avuto il successo che poi ha conservato fino a oggi.
C’è da aggiungere poi che nei suoi sessantotto anni di storia è stato ed è ancora, una vetrina non solo per i cantanti, ma anche per i volti noti della televisione, per i quali condurre la manifestazione ha rappresentato spesso il coronamento di una carriera; il Festival ha accompagnato l’evolversi della musica italiana, rimanendo un evento mediatico di grande portata nonostante l’eterogeneità del panorama musicale odierno, difficilmente comprimibile nei limiti di una rassegna canora.
Si tratta, in fin dei conti, di uno spettacolo televisivo che bada all’aspetto scenico e svolge un ruolo di punta nel gioco dell’economia. E non poteva essere diversamente.
Non bisogna distogliere lo sguardo, però, da quelle che sono la preparazione tecnica e artistica dei musicisti raggiunta attraverso gli studi classici – alla base di tutto – che solo il Conservatorio di musica può dare. E occorre inoltre tener presenti le canzoni; in tale ambito bisogna lavorare in base a criteri diversi rispetto a quelli usati per allestire un concerto di musica classica.
Il fatto stesso di lavorare in diretta significa affrontare problemi diversi.
Nella scorsa edizione di Sanremo, ad esempio, molte stonature da parte dei cantanti hanno messo a dura prova il lavoro dell’orchestra.
Quando Ornella Vanoni aveva cantato Domani è un altro giorno, per fare un esempio più dettagliato, si era evidenziato un piccolo errorenell’ultimare la frase di chiusura: la cantante aveva perso un quarto di battuta forse anticipando o ritardando il ritmo, ma l’orchestra era stata vigile, attenta, pronta, immediata a far rientrare il tutto nella giusta quadratura del tempo prescritto.
L’hanno ripresa subito perché sono dei professionisti, perché sono dei lavoratori instancabili, perché hanno dedicato una vita intera alla musica e perché alla fine sono gli unici vincitori assoluti del festival, sempre un poco strano e bistrattato, eppure così importante per la musica leggera italiana.
In tutta onestà l’esperienza professionale degli orchestrali a Sanremo deve rispondere ad esigenze di un copione che deve essere perfetto: le canzoni sono tantissime e lo spettacolo deve essere impeccabile, il professionismo e la competenza musicale a quei livelli è un aspetto che viene dato per scontato, ci deve essere e basta, altrimenti si viene esclusi. E senza aggiungere altro.
Gli ascoltatori, infine – colti e analfabeti musicali, amanti e detrattori di gorgheggi e ritornelli – tutti, proprio tutti sono uguali davanti alla legge della musica.
Ed è per questo che capita di amare la Carmen di Bizet o l’Aida di Verdi quanto l’ultimo successo di Ruggeri o Lady Gaga…
L’immagine di copertina è presa da sorrisi.com