Un altro modo di raccontare
Di Geraldine Meyer
Quale sia il rapporto tra letteratura e fotografia è materia di estremo interesse che, nel corso del tempo, ha messo in luce la sua stessa complessità. Complessità che deriva, prima di tutto, dallo statuto, se così possiamo chiamarlo, di tale rapporto che non delinea semplicemente una sorta di sovrapposizione tra i due ambiti. Quanto, semmai e molto più precisamente, qualcosa di nuovo. Qualcosa di intravisto già in passato da scrittori quali Verga o London con il suo bellissimo libro dedicato ai più derelitti abitanti di Londra. Scrive giustamente Gloria Manghetti a premessa di questo interessante Un altro modo di raccontare. Poetiche e percorsi della fotoletteratura di Lugi Marfè: “Ricostruire il rapporto tra letteratura e fotografia equivale ad adottare un’ottica interdisciplinare.” Citando in modo puntuale Roland Barthes (di cui molto si parla in questo libro) secondo il quale l’interdisciplinarità consiste “nel creare un oggetto nuovo che non appartiene a nessuno.” E sarà sempre Barthes, nel suo famoso testo La camera chiara che: “ Una foto è sempre invisibile: ciò che vediamo non è lei. […] dietro ogni scatto si celano infinite trame di romanzi.”
Parte da qui, da queste premesse (che sono anche la cifra di tutto il libro) questa interessante ricerca di Marfè. Un viaggio attraverso lo straordinario potere e fascino della fotografia. Per le sue molteplici implicazioni e per la sua “ambivalenza” nel ritenerla capace di ritrarre la realtà ma anche, paradossalmente, di nasconderla quando non manipolarla.
Una ricerca approfondita quella di Marfè che, come scritto da lui stesso: “[impone di muoversi in due direzioni: non solo in senso tematica, esaminando la presenza della fotografia nell’immaginario letterario contemporaneo, ma anche in una prospettiva retorica e semiotica.” Ed è tale prospettiva semiotica a rappresentare forse l’aspetto più interessante di questo Un altro modo di raccontare, prospettiva che approda ( ma non certo per terminare il viaggio) a qualcosa che conduce a un nuovo campo semantico di letteratura e fotografia, quello degli “iconotesti”, che si avvalgono di verbo e figura.
Non poteva mancare, a tal proposito, l’analisi, per esempio, di lavori quali quelli di Gianni Celati e Luigi Ghirri, lavori in cui parole e immagini vanno a creare una nuova geografia dei luoghi, una cartografia del rapporto tra scrittore e ciò che, il più delle volte, non viene nemmeno guardato. Ma che diviene supporto anche del rapporto inevitabilmente mediato tra uomo e luoghi. Mediato anche, e soprattutto, da ciò che dalla fotografia resta fuori.
Rapporto tra parola e immagine, fotoreportage, autobiografia, “rievocazione postmemoriale di eventi storici traumatici” come per esempio la shoa, sono le linee guida attraverso cui si svolge questo viaggio tra alcuni scrittori e alcuni fotografi che su tale interdisciplinarità di sono cimentati e interrogati. Quale forza propulsiva ha la fotografia in un’epoca in cui le immagini sembrano avere preso il sopravvento? Quale elemento valoriale aggiunge o sottrae l’immagine “nell’epoca della sua riproducibilità” portata all’eccesso? Quale viaggio bidirezionale si compie tra fotografia e memoria? Ecco allora che, da Modiano a Sebald, dalla Sontag a De Lillo (per citarne solo alcuni) Marfè costruisce un libro che costringe a molte riflessioni, soprattutto oggi che la digitalizzazione sembra avere stravolto, con la sua facile accessibilità pressochè universale, il concetto stesso di visibilità. In un’epoca in cui tutto diventa pubblico attraverso la fotografia, paradossalmente tutto diventa invisibile.
Un libro questo che non esito a definire antropologico nel senso di una messa a fuoco della necessità di raccontare, insopprimibile nell’uomo, ma della altrettanto insopprimibile (o almeno così dovrebbe essere) consapevolezza di come e quanto etica ed estetica non possano disgiungersi. Ed ecco quindi perché la fotoletteratura deve essere vista come interdisciplinarità e non solo come l’affiancarsi di immagini a parole.
Un libro davvero interessante, coltissimo la cui lettura appare tanto più indispensabile quanto più comprendiamo di vivere in un’epoca in cui l’abuso di foto ha condotto a quella che possiamo chiamare post verità. E in cui, in molti casi, l’abuso della parola ha condotto alla post letteratura.
Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux
Saggistica
Leo S. Olsschki
2022
193 p., brossura