Zola e le strategie di marketing
Di Marianna Inserra
“… l’ultima vetrina li attirò più delle altre. Una vera esposizione di sete, rasi e velluti, esultava con una gradazione morbida e vibrante in tutti i toni più delicati dei fiori: in cima, i velluti d’un nero cupo, d’un bianco panna; più giù, i rasi, azzurri, rosa, dai tratti vivaci, sfumati pallidamente d’una dolcezza infinita; più giù ancora, le sete, tutta la varietà dell’arcobaleno, pezze rialzate a sbuffi, piegate come attorno a una vita slanciata, divenute viventi sotto le dita esperte dei commessi; e tra un motivo e l’altro, tra una frase e l’altra dei colori della vetrina, correva un accompagnamento discreto, un leggero cordone a sbuffi di foulard color crema”.
Dal famoso ciclo dei Rougon Macquart di Emile Zola, il romanzo Al Paradiso delle signore (1883) è decisamente un interessante documento, uno spaccato di vita parigina della Belle Époque che, come una lente di ingrandimento, punta a rivelarci nei dettagli, la nascita dei primi grandi magazzini per signora nella capitale francese.
La giovane Denise Baudu, ventenne, proveniente dalle campagne di Valognes, che, in seguito alla morte dei genitori, si trova a dover badare ai due fratelli minori, può essere considerata la protagonista della narrazione. I grandi magazzini, Il paradiso delle signore, sono però l’ambientazione d’eccezione di quasi tutte le vicende. La giovane, con la speranza di migliorare la propria condizione, con i fratellini al seguito, si reca a Parigi dallo zio, che possiede una piccola bottega di stoffe e articoli per dame. Egli, però, con moglie e figlia, non naviga in buone acque per mantenere lei e gli altri due nipoti: l’unico aiuto che può darle è indirizzarla al grande negozio di fronte, Il paradiso delle signore, tenuto da un giovane vedovo, Octave Mouret, causa delle sue disgrazie finanziarie.
I grandi magazzini infatti hanno tolto tutte le clienti alle tradizionali botteghe di stoffe, cappelli, ombrelli, superstiti di un vecchio e ormai superato modo di fare commercio, non più adatto alla Francia post illuminista, già nel pieno della seconda rivoluzione industriale. Siamo nell’età dell’acciaio, dell’elettricità, delle grandi esposizioni internazionali, delle prime fotografie e il giovane Mouret, sagace, dalla vista lunga, “poeta del suo genere” anno dopo anno, vede decuplicare i suoi guadagni grazie a trovate coraggiose, ma fortunate.
I suoi grandi magazzini appaiono come una grande, misteriosa macchina agli occhi invidiosi dei bottegai vicini, e a quelli della timida e semplice Denise
“Allora a Denise parve di trovarsi davanti a una macchina ad alta pressione che desse impulsi perfino alle vetrine”
una macchina il cui cuore segreto sono i magazzini nei sotterranei, nascosti agli occhi di chi non è addetto ai lavori: è lì che arrivano ogni giorno centinaia e centinaia di pacchi contenenti stoffe delle qualità più svariate, ma anche – novità per i parigini di quegli anni- abiti già pronti. La produzione seriale di vestiti toglie originalità ai capi, ma il giovane Mouret riserva per le sue clienti più prestigiose, stoffe esclusive tra cui la seta “Paradiso”:
“Voglio che fra otto giorni la “Paradiso” metta sottosopra la città. La nostra fortuna sta lì; sarà lei che ci salverà e ci lancerà. Non si parlerà che della “Paradiso”, il bordato azzurro e argento sarà conosciuto da un capo all’altro della Francia… Vedrete che colpo a chi ci fa concorrenza! Il commercio minuto ne buscherà delle altre! Al diavolo tutti questi venditorucci che crepano di reumatismi nello loro cantine!”
Tutto verrà venduto a prezzi concorrenziali, addirittura “a scapito”: la tentazione della moda a basso costo attira al Paradiso delle signore le gran dame, servite e riverite da compiacenti commesse, ma anche esponenti dei ceti meno abbienti che, per la prima volta, provano l’ebbrezza, l’euforia del potersi permettere stoffe, fazzoletti, trine, abiti a basso costo.
I sensi inebriati dall’ irresistibile tentazione delle stoffe tanto agognate a prezzi da urlo:
“Le signore si sentivano soffocare, e avevano il viso pallido e gli occhi lucenti. Si sarebbe detto che tutte le seduzioni del magazzino conducessero a quella suprema tentazione, e che quella fosse la stanza intima della colpa, l’angolo dove le più forti cadevano, in mezzo alle trine. Le mani si tuffavano in quel morbido candore, e tremavano dal piacere”.
Nella trappola di Mouret, che prospera non solo per il passaparola, cadono massaie e popolane, che, attirate anche dalla possibilità di intrattenere i propri bambini con dolciumi e palloncini offerti dal venditore, si recano lì e poi tornano a casa con la borsa svuotata.
Il romanzo è degno di essere letto ed apprezzato per le tantissime tematiche che presenta e per la meravigliosa penna di Zola, uno dei padri del Naturalismo francese, che, come i contemporanei Flaubert ed i fratelli Jules e Edmond de Goncourt, Balzac, mira a far sì che l’opera “risulti scritta da sè”, seguendo lo stile dell’impersonalità. Il lettore scopre i personaggi e il loro carattere soprattutto attraverso le loro azioni e il loro agire: Denise, da impacciata “sciattona” campagnola, derisa dalle commesse veterane del Paradiso, con la sua semplicità ed onestà, dà una lezione di perseveranza e di determinazione a tutti. Lo stesso Mouret, che passa da una donna all’altra, non senza il secondo fine di fare pubblicità alla sua attività commerciale, capitolerà di fronte ai virtuosi rifiuti di lei.
Attraverso la storia di questa ragazza così particolare e delle commesse, Zola ci mostra la condizione delle giovani ragazze povere di Parigi: senza la “protezione” di un uomo si rischia di morire di fame, di non rivestire alcun ruolo nella società, di diventare vittima della strada.
E le commesse sono pericolosamente avvinte in questo circolo vizioso:
“Quasi tutte le ragazze per via del loro quotidiano strofinarsi con le clienti ricche diventavano alla fine d’un ceto senza nome, indeterminato, che stava tra l’operaio e il borghese; e sotto la loro arte di vestirsi, sotto i modi e le frasi prese a prestito, non c’era che una istruzione falsa, la lettura dei giornaletti, qualche tirata di dramma, e tutte le sciocchezze che correvano per Parigi”
Diventavano quasi una categoria sociale a parte, non definita, né borghese né villana, che il contatto quotidiano con le grandi dame lasciava su di loro il profumo del vizio del lusso. Ma Denise, forte dei suoi valori, si tiene al di fuori da tutto ciò.
Altra storia interessante, ma anche crudelmente commovente, è quella della famiglia dello zio Boudu e dell’artigiano di ombrelli Bourras, un “bel vecchione” con la fama di artista che intagliava i manici degli ombrelli, che ogni giorno “dichiara guerra” al Paradiso delle signore che, non solo gli ha portato via le migliori clienti, ma vuole anche appropriarsi, dietro lusinghiero compenso, della sua vecchia e malconcia casa. Il vecchio si rifiuta con grande ostinazione, nonostante Denise provi a farlo ragionare e ad aprirsi al nuovo modo di vedere il mondo del commercio. Come Darwin in quegli anni aveva mostrato, la capacità di adattarsi è il segreto per sopravvivere ai grandi cambiamenti e chi rimane piccolo verrà travolto da quelli più grandi.
Per Bourras, per Baudu e tutti i piccoli bottegai di Parigi che non accettano di reinventarsi e di adattarsi a questa “prostituzione del commercio” saranno inevitabilmente soppiantati da Il paradiso delle signore e dalla modernità.
Mi sento di dire ai lettori curiosi che stavolta Zola non lascia un finale dall’amaro in bocca. Tutto ciò mi ha enormemente e piacevolmente sorpresa.
L’opera di Zola è più vivida che mai e le minuziose descrizioni dei magazzini e delle stoffe sono indice di qualità e di attenzione ai particolari, soprattutto dell’ambiente circostante secondo i dettami del vigente Naturalismo. Scrittore engagé, a differenza dei Veristi italiani, attaccati all’immobilismo sociale, Zola aveva fiducia che attraverso la Letteratura, la storia degli emarginati nei sobborghi di Parigi muovesse all’azione la classe dirigente francese.