Guelfo Civinini, un crepuscolare da scoprire
Di Nicola Vacca
In quest’epoca vuota e dominata da terribili disillusioni è auspicabile un ritorno alla poetica del disincanto dei Crepuscolari e alla loro sensibilità. L’amore per le piccole cose e la loro gestualità che tra malinconia e ironia e la loro incapacità di coltivare i grandi ideali potrebbero essere caratteristiche fondamentali per ripensare il nostro tempo.
Govoni, Palazzeschi, Corazzini e Gozzano, sono i nomi più importanti di questa corrente che non fu mai movimento poetico.
I Crepuscolari furono prima di tutto un agorà che nella zona umbratile del crepuscolo dette vita a una pagina importante della nostra letteratura.
Come nacque l’etichetta Crepuscolare? Fu G. A. Borgese l’autore del termine, In un articolo su La Stampa il 10 settembre 1910 recensendo un libro di Marino Moretti il critico scrive: «Poiché il gran campo della nostra poesia fu mietuto con falci d’oro, essi indugiano sui margini della vita spigolando i residui del Romanticismo e le scorie del Classicismo e contentandosi di carpire in Pascoli la balbuzie, in D’Annunzio il Poema Paradisiaco». Accennava poi a Guido Gozzano come ad uno che avesse aperto loro la strada, assieme ai decadenti francesi. Il termine crepuscolare venne successivamente ampliato da Scipio Slataper, che incluse fra essi anche Corazzini, Palazzeschi e il primo Saba.
Un crepuscolare appartato fu anche Guelfo Civinini. Nacque a Livorno nel 1873 e morì a Roma nel 1954. L’opera poetica che raccoglie il meglio del suo lavoro giovanile fu pubblicato nel 1920 sotto il titolo I sentieri e le nuvole. Il resto della sua attività si svolse nel giornalismo. È autore di prose come Giorni del mondo prima (1926), Pantaloni lunghi (1936). Figura interessante che si può considerare un crepuscolare ante litteram, soprattutto sul piano stilistico.
L’urna(1901) è la prima raccolta che Civinini pubblicò all’età di ventotto anni e fu subito collocato nell’area crepuscolare. Versi sensibili e delicati con il poeta esplora il filone della nostalgia crudele e in cui si trovano echi pascoliani.
La lingua della sua poesia è evocativa e le parole hanno una musica insistente, sottile e profonda. I suoi versi tendono all’idillio e prendono spunto dai ricordi personali ai quali fu molto legato anche nella sua attività di giornalista e prosatore.
Anche la sua attività giornalistica che registra una vasta produzione di reportages risente di una prosa esemplare che si ispira direttamente alla memoria come forma del dire e del testimoniare.
La lettura dei suoi libri di ricordi, che rappresentano la sua miglior produzione, risaltano la sua vocazione letteraria alla memoria.
Con uno di questi, Trattoria di paese (1937), vinse il Premio Viareggio.
La sua poesia fu apprezzata da Montale che in un articolo su Corriere della Sera del 11 aprile 1954 scrive: «Civinini richiama, come pochi, a quella unità di vita – arte che in tempi meno angosciosi dei nostri non era o non pareva eccezionale. Civinini passò dall’ estetismo all’azione, dal crepuscolo alla vita avventurosa, dal successo al silenzio o al quasi silenzio degli ultimi anni con signorile disinvoltura, con un senso della misura e dello stile che era tutto suo».
Guelfo è un altro scrittore dimenticato che merita una seconda possibilità
L’immagine di copertina è presa da wikipedia