Laureata in lingue e letterature occidentali e in lingue orientali, urdu e arabo. Laurea anche in filosofia, pedagogia clinica. E' antropologa trasformazionale e psico terapeuta

Seimila gladiatori da Capua a Roma guidati da Spartaco per guadagnare la Libertà.

Di Maria Rosaria D’Acierno

No society in which these liberties are not, on the whole, respected, is free, whatever may be its form of government; and none is completely free in which they do not exist absolute and unqualified. The only freedom which deserves the name, is that of pursuing our own good in our own way, so long as we do not attempt to deprive others of theirs, or impede their efforts to obtain it. Each is the proper guardian of his own health, whether bodily, or mental and spiritual. Mankind are greater gainers by suffering each other to live as seems good to themselves, than by compelling each to live as seems good to the rest. John Stuart Mill 1)

… le opinion degli uomini su ciò che è lodevole o biasimevole risentono l’influenza di tutte le cause diverse che influiscono sui loro desideri a proposito della condotta degli altri, cause numerose quanto quelle che determinano i loro desideri su qualunque altro soggetto. Qualche volta è la loro ragione; qualche altra sono i loro pregiudizi o le loro superstizioni; spesso i loro sentimenti sociali, e non di rado le loro tendenze antisociali, l’invidia o la gelosia, lo sprezzo o l’improntitudine. Ma il più delle volte l’uomo è guidato dal suo interesse, legittimo o illegittimo. Mill 2)

Oggi ci si interroga con angoscia ed ansia sul significato da attribuire alla libertà, una libertà che è spesso negata e dall’uomo e dalle circostanze esterne. Ma definire l’esatto valore della libertà sembra quasi impossibile, perché coinvolge il pensiero filosofico, religioso, sociale, economico, accostando la libertà alla morale, alla volontà, alla responsabilità, al desiderio, alla spontaneità, alla consapevolezza, alla necessità, all’urgenza di fare o non fare qualcosa in un mondo globale dove si vive l’uno accanto all’altro. L’umanità non ha mai vissuto isolata, anzi oggi viviamo in un vortice dove ci spostiamo vorticosamente, parliamo più lingue e risolviamo il problema della comunicazione spicciola usando tutti la lingua inglese. Questa è diventata una specie di falso idioma anglosassone, che somiglia anch’esso più ad un vortice stereotipato che ad una lingua vera e propria, avendo perso sia le sue caratteristiche linguistiche che quelle culturali (Will Baker 3). Così facendo ci sentiamo liberi, e non ci accorgiamo che la nostra è una libertà fittizia, soggettiva, autoritaria ed egoistica, che ci fa dimenticare il rispetto dell’altro, il quale è portatore di altre culture e di altre tradizioni; tradizioni che rispecchiano un pensiero altrettanto profondo che sottovalutiamo e non teniamo in nessuna considerazione solo perché non lo conosciamo. L’altro, al contrario, è fonte di grande arricchimento da vari punti di vista, soprattutto intellettivo. Essere rispettosi, quindi, significa accettare la diversità e seguire un comportamento che non offenda l’altro, né lo limiti nelle sue aspettative (Iain Chambers 4). Si devono seguire delle regole per una convivenza civile tra popoli che hanno costumi, religioni e culture differenti. Questo non significa essere limitati nella propria libertà, ma significa condividere e vivere nel rispetto di sentimenti e di regole che, pur universali, esprimono ognuna una propria specificità. Significa ampliare il proprio orizzonte e la propria mente; significa potenziare le proprie capacità cognitive; significa modificare e stimolare il proprio cervello attraverso nuovi messaggi che allungano nel tempo la capacità mentale fino addirittura a sconfiggere i danni cerebrali della vecchiaia o eventuali traumi cranici (H. Cohen 5). Qui ci occupiamo, per dirla alla maniera di John Stuart Mill, del problema della libertà dal punto di vista sociale, dove si cerca di “formulare un principio che regoli pienamente i rapporti di coartazione e di controllo tra società e individui, sia che venga impiegata la forza fisica sotto forma di sanzioni legali, sia che venga impiegata la pressione morale della pubblica opinione.” (J.S. Mill). Mill afferma che la volontà del singolo individuo costituisce sì una valida ragione per non costringerlo a fare qualcosa di diverso, ma deve tener conto dell’altro. La costrizione, al contrario, si rende necessaria quando la sua condotta “è ritenuta tale da nuocere a qualcun altro. Il solo aspetto della condotta per cui si è responsabili di fronte alla società è quello che concerne gli altri. Per la parte che riguarda solo sé stesso, l’indipendenza dell’individuo è, di diritto, assoluta. Su sé stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente l’individuo è sovrano. …Un uomo non può, a rigore, essere costretto a fare o ad omettere un’azione, perché ciò sarebbe meglio per lui, o lo renderebbe più felice, o perché, nell’opinione degli altri, egli farebbe cosa saggia od anche giusta. Tutte queste sono ragioni buone per fargli delle osservazioni, per discutere con lui, per convincerlo o per supplicarlo, ma non per costringerlo o per cagionargli alcun danno, s’egli non se ne cura. Per giustificare questo, occorrerebbe che la condotta da cui si vuole distogliere quest’uomo avesse effetto di nuocere a qualche altro: la sola parte della condotta d’un individuo, sulla quale la società abbia giurisdizione, è quella che concerne gli altri:” Quindi, l’uomo nasce sì libero di pensare ciò che vuole, ma deve agire nel rispetto dell’altro. Infatti posso pensare di possedere una ampia pelliccia di visone, posso anche pensare di non pagarla, ma devo di fatto pagarla se la voglio; posso anche pensare di indossarla quando ci sono 40 gradi all’ombra, ma non posso farlo perché il mio corpo si ribellerebbe. Inoltre, a meno che io non sia molto benestante, per poterla pagare avrò dovuto rinunciare anche ad altre cose, privando quindi la mia libertà. Posso pensare di possedere una lussuosa Lamborghini, ma devo pagarla e non posso scorrazzare in città, né nei sensi vietati, altrimenti oltre alle multe ne va della mia vita. Posso mangiare un gelato ma non posso buttare in strada il cono vuoto; posso accendere una sigaretta, ma non posso fumarla in un luogo chiuso, né gettarne la cicca sul marciapiedi, né fumarne 40 al giorno, mi provocherei un cancro. Gli esempi potrebbero essere infiniti e non sempre accettiamo queste limitazioni che sembrano ridurre la nostra libertà; non accettandole dimostriamo di essere incivili. Oggi, come da sempre, si fanno numerosi cortei per difendere la propria libertà come diritto acquisito e approvato dalla nostra costituzione in molti articoli, nei quali si salvaguarda la libertà personale da vari punti di vista. Ma si ignora che ogni articolo specifica in modo molto dettagliato che questa personale libertà non deve ledere quella altrui, per cui vengono aggiunte norme che ne restringono il settore (“se non nei casi e modi stabiliti dalla legge” si legge nella Costituzione). Infatti, anche se la libertà di ogni singolo cittadino sembra protetta – permettendogli di muoversi dove e come gli pare (diritto alla libertà: personale (13), di domicilio (14), di segretezza della corrispondenza (15), di circolare e di soggiornare dove si vuole (16), di riunione pacifica e senza armi (17), di associazione (18), di culto o non culto (19-20), di manifestazione del pensiero (21), di censura per opere di cinema, teatro o Tv, di iniziativa economica privata) – di fatto è limitata, poiché il singolo cittadino non vive isolato ma viene inserito in un tessuto sociale che impone rispetto non solo verso gli altri ma anche verso l’ambiente. Perfino l’articolo 32, dedicato alla salute, pone l’interesse del singolo individuo all’interno della comunità; quindi, in casi eccezionali, la legge potrebbe intervenire per sanare certe situazioni e ristabilire il bene pubblico: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge …”. Libertà, quindi, non significa fare ciò che si vuole, ma avere rispetto della società e dei diritti che regolano una vita giusta per tutti (6).  Per raggiungere una qualche possibile definizione accettabile di libertà si è cercato di dividerla in due filoni: Libertà positiva (scolastici potestas ad utrumque-libertà di … – ciò che voglio non mi è imposto, ma sono io stesso a determinare la mia volontà; sono quindi libero: il determinare l’oggetto del volere dipende solo da me) e libertà negativa (scolastici libertas a coactione libertà da … – ciò che voglio mi è imposto, il determinare l’oggetto del volere è presupposto; quindi non sono libero). Nella libertà di …, potendo io stesso scegliere tra due opportunità, opportunità che potrebbero ambedue accadere, niente è predeterminato, il che significa che si possono verificare più risultati, che alla fine con il mio ragionamento influenzano la mia scelta. Questa condizione di indeterminatezza non si verifica nella libertà da …, dove il risultato della scelta offre due condizioni diverse. Dobbiamo considerare che, comunque, ad influenzare la libertà agiscono sia necessità esterne che interne (passioni, abitudini). Quindi, alla fine non esiste vera libertà, perché in un modo o in un altro siamo sempre condizionati da forze interne ed esterne. Partendo dalla lingua greca, ci rendiamo conto che non si usa una sola parola per chiarirne il significato, infatti, per definire il concetto di libertà, il greco si serve di vari vocaboli l’uno con sfumature diverse (eleuqeria libertà dalla tirannia; nelle tragedie greche quando il coro spiega le azioni dei protagonisti usa termini come anagkh (necessità/bisogno), Moira (destino) e tuch (sorte); tutte forze che impediscono una scelta libera. Dal punto di vista filosofico il problema, affrontato fin dai tempi dei filosofi greci (Seneca, Euripide, Platone, Aristotele, Epicuro), è rimasto ancora oggi confuso e ambivalente. Socrate nega la responsabilità dell’agire. Aristotele divide le azioni in volontarie (ecousia) e involontarie (acousia), quest’ultime dettate dalla costrizione (bia) o dall’ignoranza (diagnoia). Con il Cristianesimo si apre il concetto di libero arbitrio (Agostino), poiché all’uomo, al quale si riconosce un’analogia con il Creatore, si attribuisce la capacità di scegliere liberamente tra il bene e il male. Qui la provvidenza ha un ruolo dominante sia sulla natura che sull’umanità. Il bene viene ricompensato, mentre il male viene punito. Anche l’Islam (movimento del cuore come afferma Rosanna Sirignano 7) affronta il problema della punizione o della ricompensa nel giorno del Giudizio Universale. Nell’Ebraismo le punizioni sono collettive e riguardano soprattutto eventi naturali catastrofici che colpiscono tutti. Il dibattito continua con Lutero (le scelte non dipendono dal libero arbitrio ma dalla necessità) e con i gesuiti, i quali coniugano il libero arbitrio con la Grazia. Il filone filosofico si afferma soprattutto con Cartesio, il quale, influenzato dalla concezione religiosa, cerca di bilanciarsi sostenendo prima il libero arbitrio e poi la necessità assoluta come fattori determinanti la scelta delle azioni. Attraverso il concetto di sostanza, pur non riuscendo nel proprio intento, Cartesio, pensando di dare maggiore forza alla sua tesi, afferma che si raggiunge la libertà quando l’anima diventa totalmente indipendente dal corpo e, quindi, basta guardare in sé stessi. Dopo Cartesio i filosofi sostengono il determinismo, che elimina la libertà dell’agire umano. Spinoza, infatti, afferma che se esiste libertà, questa sarà non la libertà di agire in un modo o in un altro, ma la libertà di obbedire alla propria natura se quest’ultima sia necessaria; quindi, libertà non si oppone a necessità. Dio stesso obbedisce alla propria natura. Anche per Hobbes la libertà è determinata dalla necessità. La volontà non è mai libera, quindi, se pur dovesse esistere libertà questa sarebbe libertà da costrizioni. Leibniz sostiene la libertà da … più che la libertà di … . Locke, Hume, Kant cercano con grande angoscia di definire il concetto di libertà nel modo più chiaro possibile, ma tutti rimangono nel vago, e pur di salvare la libertà si imbattono in infinite contraddizioni. Perfino Kant si mostra scettico, e sembra protendere per la tesi che ogni azione dell’uomo dipende da Dio, al quale si chiede protezione. Quindi, rifacendoci a Kant (mondo fenomenico ed extra fenomenico), bisognerebbe capire se  si è in grado di uscire dal fenomenico per cercare di raggiungere un livello di realtà extra fenomenico; altrimenti, diventa impossibile possedere alcuna forma di libertà. Ma è possibile distinguere il fenomeno dalla cosa in sé? Il fenomeno contiene la necessità, la cosa in sé, la libertà. Se non si è in grado di operare questa distinzione, “l’uomo”, afferma Kant, “sarebbe una marionetta … costretto e caricato dal sommo maestro di tutte le arti.” Un automa che non si rende conto di non avere libertà e di essere mosso da un burattinaio. Ma sia nella Critica della Ragion Pura, dove si affaccia il concetto della casualità, sia nella Critica della Ragion Pratica, anche Kant rimane nel vago e non riesce a dare una esatta definizione al concetto di libertà. Solo guardandosi dentro e cercando di capire le nostre e le altrui esigenze, le nostre azioni saranno il risultato della nostra libertà (E. Kant 8). Anche la basmala (بسملة (9), quella invocazione di protezione che si recita non solo prima di ogni sura del Sacro Corano (tranne la ix), ma anche prima di ogni comune azione della giornata, è una testimonianza della sottomissione a Dio e alla Sua volontà. Invocando la Sua protezione, sembrerebbe come rinunciare alla propria libertà, ma invece è proprio tutto il contrario, poiché la sottomissione a Dio non è passiva, ma è un atto di presa di coscienza dei problemi che ci affliggono; un atto di presa di coscienza del tempo vissuto internamente ed esternamente; quel tempo che occupa uno spazio; quel tempo che merita una riflessione profonda (epochè/pausa cronodetica S. Piro 10); una presa di coscienza che non sorge dal nulla ma si svela dopo un processo di auto riflessione interiore, di ricerca intima e sofferta che toglie il velo ai nostri occhi ciechi e ci svela la verità. Ritornando al pensiero di John Stuart Mill, ci rendiamo conto che in una società di livello avanzato, il ragionamento e la discussione libera dovrebbero essere sufficienti per far accettare certe norme senza ricorrere alla costrizione, norme che, anche se restrittive, servono per il bene comune. Solo nelle società cosiddette barbare era necessario obbligare il popolo all’obbedienza assoluta “a un Akbar o a un Carlo Magno, … Ma non appena gli uomini avranno acquistato la capacità di essere guidati nel loro progresso dalla convinzione e dalla persuasione …, allora la costrizione, tanto in forma diretta quanto attraverso pene e sanzioni a chi non si adegua, non è più ammissibile come mezzo per raggiungere il proprio bene, ed è giustificabile solo per la sicurezza degli altri.” Mettendo a fuoco il benessere collettivo, John Stuart Mill, enfatizza in modo molto forte che l’omissione di certi comportamenti potrebbe nuocere alla comunità in cui si vive e dalla quale si ricevono certi privilegi. Nella nostra situazione odierna, il tempo si incastra nello spazio; uno spazio e un tempo infiniti, indeterminati, che minano il mondo perché sembrano aver spazzato via il futuro, per cui noi stessi ci fossilizziamo e ci attacchiamo morbosamente al presente, ma nello stesso tempo lo neghiamo. Il saggio sulla libertà di Stuart Mill è un testo che guarda ancora oggi al futuro e ci proietta verso di esso, spingendoci al ragionamento costruttivo, dove la convinzione non avviene per costrizione ma per un atteggiamento di fiducia verso il futuro perché siamo capaci di guardare oltre noi stessi e di raggiungere un bene comune. Pochi sono i progetti del post pandemia, ma dove ci sono aprono alla speranza del futuro, quello tangibile che tutti aspettiamo, e che, negando il pensiero di Agostino, (11) il quale afferma che il vero tempo è solo il presente, si colora di aspetti decisi, determinati dalle nostre aspettative. Agostino nega la concezione ciclica del tempo proposta dai greci, interrompendo la divisione tra tempo presente, passato e futuro, e stabilisce un continuum all’interno del tempo. Afferma che esiste un presente incorporato in un presente, un passato incorporato in un presente e un futuro incorporato in un presente. È solo nell’anima che la triplice dimensione del tempo acquista la sua vera dimensione. Nella dimensione umana del vivere quotidiano, il sogno del futuro ha una grande importanza, poiché allenta la tensione di un momento presente negativo. “Soltanto noi”, afferma Giuseppe Errico, “siamo in grado di cambiare il tempo vissuto, da segno negativo … a segno positivo della speranza (tempo futuro”) (G. Errico 12). Oggi, tempo e spazio  influenzano tutti, ci stringono in una morsa comune che non ci permette di agire e pensare singolarmente, ma che ci obbliga ad agire insieme per il bene di tutti noi. Qui il tempo ha perso la sua specificità, qui il tempo è riempito dalle stesse sensazioni, e si allarga in uno spazio infinito. Questo presente sensibile (specious present W. James 13) sembra aver perso la sua durata specifica allargandosi fino a coprire uno spazio e un tempo infinito. Qui il tempo oggettivo e il tempo vissuto intimamente sembrano fondersi in un unico magma epocale, quel magma trasformazionale che cambia tutti i nostri costumi e pensieri (Piro 14). Dal punto di vista della linguistica araba, ritornando alla basmala, per collocarla nella ricerca interiore, e riferendomi al dibattito se considerarla una frase verbale o nominale, ِن ٱل َّر ِحيِم) verbale come accettarla preferisco ِ ٱل َّر ْح َم ٰ ٰ ๡َّ ٱ مِسِ ْب .(Infatti, il tempo verbale deve essere cercato, proprio quel Verbo con il quale Dio iniziò la creazione, e che non è chiaramente visibile nella struttura di questa invocazione. Questo cercare implica una analisi interiore che vuole scoprire ciò che non appare materialmente, ciò che è nascosto, e che ha bisogno di un risveglio cosciente; un risveglio che porta luce e fa risaltare la libertà, quel guardare verso l’alto e verso spazio infinito, verticalmente e non solo in modo orizzontale. Quel guardare dentro sé stessi; quel guardare che trascina oltre, indirizza verso l’uscita, verso l’infinito, verso il luogo senza spazio, verso il sogno; in altre parole quel guardare che conduce verso il futuro. Guardarsi dentro come auspicava Cartesio? Perché guardarsi dentro non significa limitare spazio e tempo al sé; al contrario significa aprirsi in uno spazio e tempo infiniti, senza confini; uno spazio e tempo che incontra l’altro. Un ‘dentro’ che è a noi stesso sconosciuto, e che molte volte non riusciamo neanche a decifrare per la sua mutevolezza e immensità. Ma che cosa veramente si intende per libertà? Personalmente penso che essere liberi significhi accettare con responsabilità quei limiti che la vita ci impone aprendo la nostra mente al ragionamento, al dialogo e all’analisi interiore, sofferta, profonda, ma che alla fine fa diventare nostro anche un pensiero altrui, non per sottomissione ma per convinzione condivisa; una analisi che ci fa comprendere ciò che una mente ristretta considera una imposizione forzata. La libertà non si guadagna scagliandosi contro le regole, ma accettandole, facendole nostre ed uguali per tutti, rendendo la vita dell’umanità uno scambio di opinioni e di doni che serviranno per farci vivere in piena libertà soprattutto interiore; una libertà che caratterizza le società evolute, dove i divieti devono essere fatti nostri per raggiungere un bene comune. Oggi, dobbiamo comprendere che i vaccini non sono solo un bene personale, ma servono per il bene di noi tutti, di coloro che hanno bisogno di cure mediche specifiche, di coloro che non possono accedere al vaccino per patologie che lo rifiutano, a parte poi che i contagi rallentano e diminuiscono di intensità. Non servono i cortei di protesta che con la violenza cercano di inneggiare alla libertà, di definirne il significato per poi acquisire il diritto di esercitare la propria libertà a scapito degli altri. Diventano i no-vax simili ai gladiatori che da ergastolani si guadagnavano la libertà combattendo fino alla morte, e, quindi, privandosi anche della libertà di vivere? La vera libertà è quella che porta benefici alla comunità e non al singolo individuo. Di quale libertà si parla in un momento in cui il COVID ci sta massacrando tutti senza risparmiare nessuno? In un momento in cui tutti dovremmo avere lo stesso fine: la salute, il lavoro, e perché no anche una risata mangiando insieme una pizza? Ma questo si spera di poterlo raggiungere non assecondando il volere degli altri, ma lottando tutti insieme con fiducia e disciplina. Le scelte sono libere quando portano vantaggi alla comunità non quando sono il risultato di un ragionamento egoistico e superficiale; quando sono il risultato della fiducia che riponiamo nella scienza, nella politica, nella natura, nell’essere umano; una fiducia che dobbiamo sforzarci a non perdere mai, perché è l’unica salvezza che ci fa sognare e credere nel futuro. Le nostre scelte devono essere coscienti, aperte, serene e non devono essere lo specchio della nostra 6 intima insoddisfazione, che con rabbia ci fa scagliare contro l’altro solo per affermare con violenza il nostro punto di vista che non riusciamo a far valere con parole pacifiche perché accecati dalla frustrazione e dalla nostra mente ottenebrata dalla insicurezza. Può la insoddisfazione personale essere appagata dagli screzi che provochiamo a chi ci sta di fronte? Questo non significa essere liberi, ma significa essere prigionieri della nostra cecità interiore.

Bibliografia

1) John Stuart Mill, On Liberty, 1859, Batoche Books Kitchener, Ontario, Canada, 2001;

2) Sulla Libertà (trad. Arnaldo Agnelli 1911), Indipendently published, 2020.

3) “English is frequently approached as if it were a neutral choice as the medium of intercultural communication or in a reified and simplistic manner.” Baker Will, Culture and Identity through English as a Lingua Franca, Walter de Gruyter, Inc., Berlin/Boston, 2015.

4) “ciò che una volta era stato collocato fuori, oltre i confini del nostro mondo, e lì confinato e spiegato da una Will Bakergestione coloniale, il razzismo “scientifico” e la disciplina emergente dell’antropologia, ora non può più essere tenuto a distanza critica. La separazione e l’isolamento degli altri come semplici oggetti di interesse politico, culturale e filosofico ora crolla e trafigge il presunto centro con le loro insistenze come soggetti storici. … Le vite precarie dei migranti contemporanei, affermando il diritto di muoversi, migrare, fuggire, non solo scardinando il modo in cui dovrebbero rispettare il posto assegnato loro dalla storia; ma segnalano anche la modalità precaria contemporanea della vita planetaria (sia umana che non)” Iain Chambers, Paesaggi migratori: Cultura e identità nell’epoca postcoloniale, Melteni editore, 2018

5) Brain &Cognition, Elsevier Journal, vol. 156, H. Cohen eds., 2022.

6) Costituzione della Repubblica Italiana 27 dicembre 1947.

7) MaryamEd Formazione Transculturale di Rosanna Sirignano, Arabo per il Corano.

8) E. Kant, Critica della Ragion Pura, Laterza, 1963. Critica della Ragion pratica, UTET Ebook.

9) Il Corano, Traduzione di Gabriele Mandel, UTET, 2006.

10) “Pausa cronodetica è la risultante prassico-noetica ed emozionale della formazione di un abito mutazionale particolare come effetto di un autonomo ampliamento di orizzonti o come risultato di un tipo particolare di formazione antropologico-trasformazionale o di cura.” S. Piro, Introduzione alle antropologie trasformazionali, La Città del Sole, 2006: 613.

11) Agostino, Le Confessioni di Sant’Agostino, Edizioni Le Vie della Cristianità, 2016; La Città di Dio, Fermento Edizioni, Roma, 2015.

12) G. Errico, Le Metamorfosi della Temporalità, 17, gennaio 2022, Psicologia Fenomenologia.

13) W. James, The principles of psychology, New York: H. Holt and Company, 1893.

L’immagine di copertina è di Banksy