Eloisa Ticozzi è nata a Milano nel dicembre 84. Ha partecipato con le sue poesie ad antologie e concorsi. Ha conseguito riconoscimenti al Premio Montano, all’Internazionale Indipendente e si è classificata quarta nel 2021 nel Concorso Letterario Pomezia. Ha recensito recensioni di sillogi per un breve periodo per un blog, ha scritto articoli per Milanofree (in particolar modo sul mondo dell’arte). Nel 2013 pubblica un’antologia con altri autori “Il sentiero delle muse” Rupe Mutevole Edizioni. Ha pubblicato nel 2019 un libro “Figli segreti” casa editrice kolibris, e poi “Simili e dissimili” con la casa editrice Oedipus, nel 2021. Si è laureata in Medicina e Chirurgia alla Statale di Milano nel marzo 2021. Ha conseguito alcuni Master psicologici non universitari.

TRE INEDITI TRATTE DALLA RACCOLTA “ACQUA”

Di Eloisa Ticozzi

È un mondo ciclico,

il gallo canta con regolarità

le macchine sembrano agguerrite armature

il freddo mischia le ossa col caldo

eppure ho immerso i miei occhi in questa realtà

sfuggente e alienata,

ho dimenato le gambe per ricordarmi

della verticalità che si propaga all’infinito

(le mie gambe a volte si allungano in alto

sorpassando il tronco).

Mi sono genuflessa all’Assoluto che costruisce l’architettura delle tombe

accoglienti anime,

ho immaginato la mia bocca e i miei occhi -sul mio volto confuso e regolare-

disegnandone la sagoma,

la mia personalità ha costruito cicatrici sulla terra

dal terreno arido e stepposo, per ricordarmi

dei miei occhi fanatici di guerriero.


Parlare non è muovere bocca e lingua

è qualcosa di più profondo, è pensiero e sentimento,

quando parlo non dico mai abbastanza

taccio se c’è violenza e se c’è ignoranza

eppure ogni uomo è fragilità e parossismo,

e pochi parlano con empatia.

Penso che la parola racchiuda la prima idea di creazione,

l’archetipo di una spiritualità verosimile,

invece le frasi vengono sminuite e private del loro senso.

La natura comunica senza bocca all’anima sensibile

con parsimonia di rumori,

come le stagioni che ci arrivano nei corpi spontanee,

percepite semplicemente con la pelle e l’umore.


Mi ricordo dei tram fin da bambina

sono treni piccoli affaccendati

col motore che riverbera l’azione,

corrono sulle rotaie di discreto fascino,

sfidano  neve e pioggia,

solerti e attenti,

ma in estate il calore si riversa sui vetri dei finestrini.

Non sono mai stata affascinata dalle metropoli

dalla gente accalcata nei negozi

dalle strade che inculcano fretta e velocità,

amo invece la lentezza, la crescita della natura che accoglie il prodigio della vita.

La natura spogliata del suo abbaglio è inespressa

nelle città, eppure è il primo progetto di Dio, il sangue

che cade nei mattatoi, gli animali che sacrificano le membra,

ma l’uomo è Caino, un essere che uccide e si vanta,

rimpiangeremo il sentimento autentico, la solidarietà degli occhi,

e la capacità di percepire il suono prima di assimilarlo in noi.