Antonio Porta, l’intellettuale come poeta
Di Nicola Vacca
Niva Lorenzini nella postfazione al volume Poesie 1956 – 1988 (dedicato a Antonio Porta), pubblicato negli oscar Mondadori nel settembre 1998, scrive che pochi poeti possiedono, come Porta, la capacità di restare fedeli ai presupposti iniziali trasformandoli e trasformandosi incessantemente.
La necessità di scrittura che sta alla base di un fare poesia della sua esperienza più che trentennale coincide con il bisogno di misurare sulla parola un rapporto conflittuale con la realtà.
Antonio Porta è rimasto fedele a una necessità di essere poeta – oggettivo, distante dalla lirica pura, ma capace di reiventarla, come accade nell’ultima fase della sua produzione. Quella di Porta è una poesia dinamica, tra le più intense del secondo Novecento.
Non è accettabile il fatto che l’opera poetica di Porta sia sparita e non sia più pubblicata.
Porta come poeta è stato un vero intellettuale e con la parola ha sempre tenuto un’adesione all’esistenza, mantenendo un confronto serrato con la realtà.
“Il linguaggio della poesia ha tutt’altri obiettivi – scrive Porta in un intervento del 1979 – e mi sembra opportuno tornare a questo argomento specifico per occuparsi del concetto di “degradabilità” della letteratura, che mi pare entri direttamente in quella zona dell’azione linguistica che si riferisce al mutamento. Proprio per non negarsi alla necessità della mutazione / movimento occorre accettare preliminarmente la provvisorietà dell’efficacia del linguaggio poetico. Il pensiero poetico impone, per così dire, al linguaggio della poesia di consumarsi e di ricominciare da capo, ogni volta, l’avventuroso percorso.
L’intellettuale come poeta deve essere consapevole che può agire entro questi “confini”, ma la parola “confini” è impropria e limitante perché, in realtà, quello della poesia è un agire fuori dei confini e senza confini prestabiliti ma certamente secondo un programma che non può comprendere in sé la ricerca dell’assoluto. L’assoluto chiama la morte, la ingoia e la risputa sotto forma di inganno poetico, suggerendo, in forma del tutto consolatoria, “ecco, qui siamo arrivati”. Invece il pensiero poetico dove arriva riparte subito”.
Antonio Porta è un poeta – intellettuale che si occupa del linguaggio, non del linguaggio della filosofia e della logica, ma del linguaggio della situazione, dall’uso quotidiano alle scritture che coprono l’arco che va dalla poesia alla comunicazione senza operare soluzioni di continuità tra le varie scritture e/o discorsi.
Porta lamenta, e qui le sue considerazioni sono attuali, la scomparsa della figura dell’intellettuale, cancellata dalla superproduzione di individui di questa specie, tanto che sul mercato si è prodotto un fenomeno di offerta molto superiore alla domanda, in tutti i campi, anche dove l’intellettuale è in realtà un tecnico, come in medicina. Quindi la sua insicurezza si chiama: intercambiabilità.
Porta, intellettuale attraverso la sua poesia, è ancora una voce attualissima che andrebbe riconsiderata e studiata in questi tempi amari in cui è scarso l’apporto degli intellettuali, che sembrano scomparsi dalla scena per fare i figuranti nei salotti.
Aveva una marcia in più la scrittura di Antonio Porta, le sue intuizioni erano capaci di provocare le forme e andare oltre di esse. Quella marcia in più, secondo la critica, era da rinvenire in questo personale fervore di ricerca che prescinde dallo sperimentalismo e lo trascende per approdare a nuove soluzioni espressive in cui si riflettono le sue posizioni critiche nei confronti della realtà.
Pur essendo stato inserito nell’antologia I Novissimi, Porta non sarà mai organico al Gruppo 63.
Pier Vincenzo Mengaldo in Poeti italiani del Novecento scrive che nella pattuglia poetica della neo – avanguardia Porta non è completamente assimilabile al suo credo ideologico.
Di quel movimento Antonio Porta è stato il suo poeta più dotato di vera necessità espressiva (o addirittura, come è stato detto, lirica), ma anche più ricco di fiato.
Se si legge l’ultima fase della produzione poetica di Porta, si nota immediatamente che, mentre i suoi colleghi segnano da anni il passo, lui è stato capace di una ricerca vivace ricca di intuizioni ancora valide.
Il giardiniere contro il becchino (1988) e il postumo Yellow (2002) rappresentano le intuizioni autonome dello sperimentare portiano, distante e distinto dal ludismo formale dell’avanguardia.
Una ricerca che recupera in maniera innovativa il concetto di lirico, guardando al contenuto in cui il poeta mette ancora una volta in evidenza il rapporto traumatico con il suo tempo e con l’esistenza.
Leggendo oggi Antonio Porta, ci accorgiamo che il suo pensiero poetico ci parla ancora, proprio perché il suo linguaggio è capace di consumarsi e ricominciare da capo.
L’immagine di copertina è presa da internopoesia.com