CITY (La San Francisco di Baricco)
Di Simone Delos
Avrei potuto citare montagne russe o altri archibugi da intrattenimento di massa.
Ma perché non la città famosa per i sali-e-scendi? E perché non Baricco? Che nel suo romanzo del 1999 gioca (all’indovina il significato del mio titolo) coi lettori?
“Questo libro è costruito come una città, come l’idea di una città. Mi piaceva che il titolo lo dicesse”.
Tranello, scherzetto, burla.
A dire il vero qualcosa che rimanda alle città c’è per davvero in City.
Secondo il critico Haacke, è presente nel libro un contorno di stereotipi sugli Stati Uniti, tipico degli intellettuali europei. Poi ci sono i grattaceli riflessi nel tacco lucido di una scarpa di donna abbandonata.
Ci sono gli hamburger, la televisione, i taxi.
È un titolo. Soltanto più allargato. City, il romanzo che è una città, coi suoi personaggi/quartieri e le sue storie/vicoli.
Poi è struttura. È intestino. È acqua salata su dita che premono la tastiera.
C’è una teoria che dice che la Fabula è l’ossatura di ogni narrazione.
Poi c’è la decostruzione della Fabula.
Poi c’è l’assenza completa della Fabula.
La mescolanza tra sforzo intellettivo e fisico, che comporta l’espressione creativa: Romanzo, è magma incandescente e, per sua natura, grezzo e informe.
L’artigianato le dà forma. È la martellata del fabbro sul ferro.
Da qui il motivo per il quale ho preso il non-capito Baricco e City nello specifico.
Dal mio punto di vista questo è il suo lavoro meno affabulatorio.
Sì, perché nel suo dire che la città del titolo sono i personaggi e le storie eccetera, in realtà ci dice il contrario. E ce lo dice con onestà. Senza trucchi.
La City è il processo dall’inizio al suo confezionamento finale.
Trovo che uno dei programmi televisivi attuali maggiormente filosofici sia: Come è fatto.
Per chi non l’avesse mai visto, si tratta di un documentario apparentemente semplice. La genesi di un oggetto di consumo, dalla materia grezza al prodotto confezionato e pronto all’utenza a cui è destinato.
Il cellophane del romanzo di Baricco è proprio la sinossi dello stesso scrittore.
(Ti spiego che in questo libro ho voluto parlare di questo e di quest’altro. Ti spiego il titolo. Ti rendo il prodotto fruibile attraverso rimandi che puoi riconoscere facilmente. Uso metafore per semplificare concetti complicati).
Poi bisogna vedere quello che c’è dentro.
Nella cistifellea del romanzo.
Allora scopri che c’è la deformazione dei verbi che significa estraneazione (il personaggio muto che parla “nondicendo”) come il “nondormo” di Pessoa.
C’è Ibsen, nella casa delle bambole di Shatzy Shell.
C’è il trio psicoanalitico Es-Ego-Superego, nel trio Gould-Diesel-Poomerang.
Poi c’è Alessandro. L’autore. Ma solo il nome.
C’è la voglia del narratore di stare a guardare, di essere una piazza.
“Non c’è soluzione. Io vorrei solamente starmene lì e vedere il mondo passare dietro ai vetri di qualcosa abbastanza grande da portarmi via, tutto lì, sembra una cosa da nulla, e invece. Se proprio lo vuole sapere è l’unica cosa che davvero mi manca, voglio dire, io sono contento di essere così come sono, non avrei voluto essere uno qualunque, come tanti altri, mi sta bene di essere così. L’unica cosa è quella lì. Mi sa che son troppo grande per riuscire a vedere il mondo”.
Questo monologo, Baricco, lo fa dire al gigante immaginario ma la voce è la sua.
Quell’estatica dannazione dello scrittore che è molto simile al pasticcere che rifinisce una torta con la striscia di cioccolata o caramello e sa che il suo godimento termina lì, dove inizierà il godimento di chi quella torta la mangerà.
E allora dov’è la San Francisco del titolo?
Ebbene, il passaggio dei livelli tra una forma narrativa e l’altra, il cambio di voce, le sotto trame inglobate nella trama principale.
Questo è il sostituto dell’intreccio.
Qual è la trama di City? Non c’è trama. O meglio non c’è trama nel suo significato convenzionale.
Il movimento è dato dai cambi, dalle voci, dalle contaminazioni musicali. Dai riferimenti artistici. Dai giochi con la punteggiatura.
Che poi alla fine sono tutte parole, quello che conta davvero si misura in emozioni da lettura.