Ecce, di Vladimir D’Amora
Di Vladimir D’Amora
Quando siamo presi dall’impersonale, da forze ignote o anche evidenti e riconoscibilissime come contesti e cotesti e condizioni storiche e costrizioni e memorazioni da tradizioni per complessioni di vincoli e di fughe insieme, già battute visitate, confezionate, architettate, disposte e composte come una qualcosa che ci sorpassi avendoci generato e allattato il violentato e illuso chiudendoci nella libertà di calcoli interessati e di passioni amare e di traumi e di leggere gioiose animazioni di emozioni tutte commosse tra spiritate ed evanescenti… Ecce
Noi soltanto in questo agio – propriamente divino – che ci trascende standoci accanto coll’avvolgerci di segnali perentori quanto bislacchi: ecce nunc siamo soggetti: padroni del nostro stesso spossesamento, e succubi per questo nostro, proprio signoreggiare zone su istanti da contrade di delusione e illusione e collusione con una reale, carnalissima espropriazione… Ecce
Chi, nel cadere insieme all’unisono coincidere di sé e dell’altro di sé e da sé, testimonia in ogni sua azione, e proposizione muta, di una vita pesata e detta a significare atti di una sua ingenua lavorata esposizione ai reali: chi testimonia sopravvivendo a ogni sua passione come a ogni sua rappresentazione, chi testimonia di questo gioco al massacro di ogni identità definita, di ogni vissuto nudo: costui è l’impossibile amante di ogni sua forza amata. Come una canzonetta di durevole, dimenticabile flagranza.