Persone andate a male. L’assurdo come gioco di prestigio
Di Geraldine Meyer
Persone andate a male è il teatro dell’assurdo con cui Carmen Ranfone esordisce in libreria. Quattordici racconti in cui surreale, mistero e, come dice giustamente Martino Ciano, contrappasso. In questi racconti Ranfone imbastisce un tribunale dell’esistenza in cui, apparentemente, i conti tornano e giustizia è fatta. Passioni che uccidono, meschinerie che conducono a una fine tanto “crudele” quanto ridicola, solitudini che si ribaltano in palcoscenici in cui ad applaudire è, finalmente, un pubblico dal ghigno beffardo, che è la vita stessa.
Ranfone, anche in qualche comprensibile ingenuità, dimostra di saper maneggiare la delicata arte del racconto, con le sue necessarie condensazioni di ritmo e di senso, seguite da veloci disvelamenti. Non sembra interessare, all’autrice, la sospensione del giudizio, la dissolvenza in grigio. La sua “surrealtà” è molto palese e palesata. Ma non sconfina nell’apologo morale. Certo, quando si leggono racconti di questo tipo è facile andare a echi di Kafka, Buzzati, Poe, anche Hofmannsthal. Che certo ci sono, in sottofondo, e suggeriscono una Carmen Ranfone di buonissime letture e suggestioni. Ma l’autrice fa qualcosa di diverso, o qualcosa di più. Usa, nel senso nobile del termine, la letteratura come un illusionista usa i trucchi. In questi racconti il lettore è accompagnato in un percorso in cui comprende che raccontare la realtà è possibile proprio non utilizzando il realismo. In queste pagine sappiamo che “l’azione” si sta svolgendo altrove eppure, pur sapendolo, restiamo avvinghiati nel trucco, nell’illusione di ciò che stiamo leggendo.
Cosa c’è, in fondo, di reale, in un uomo che muore puzzando come un pesce lasciato a marcire, o in una ragazza dalle furiose inquietudini trasformata in una pagnotta ammuffita? Eppure. Eppure c’è in queste come in altre iperboli tutta la realtà di dinamiche umane “andate a male”. C’è il disincanto e la disillusione di chi sembra non credere più alla favola dell’essere umano naturalmente votato al bene, salvo poi rinchiudersi in un male reattivo. Qui contrappasso e vendetta, degli uomini o del destino, stanno a raccontarci, se non l’esatto contrario, sicuramente la trama di un’umanità schiacciata nell’assurdo del quotidiano. Che, proprio come un trucco da illusionista, appare come specchio deforme e deformante di qualcosa di più “alto”.
E questo è, a mio avviso, l’espetto più interessante di questa raccolta di racconti. In cui, a tratti, viene introdotto un elemento comico che fa, ancora una volta, illusoriamente sorridere. Ma è un’illusione appunto. È più un ribaltamento perché sappiamo che è proprio negli spazi di vuoto e sospensione creati dalla risata che si infilano quelle schegge di amarezza e cinismo che arrivano quando le labbra smettono di ridere.
Un esordio interessante quello di Carmen Ranfone, con quella giovanile aspirazione allo smascheramento, al tutto bianco o tutto nero. Che però non può evitare le sfumature. Ed è quello il gioco di prestigio da illusionista.
Eliconea
Racconti
A & B Editrice
2022
74 p., brossura