Nasce ad Arezzo, ma il suo fare inquieto lo porta ad animare la sua vita, partecipando attivamente alla formazione di gruppi Teatrali. Fin da subito inizia a scrivere Poesie, testi brevi e succulenti, niente intellettualismi, solo parole che arrivano dritte al cuore e scuotono cervelli addormentati, quelle sue liriche lo portano a collaborare per dieci anni in un gruppo punk di matrice Clash/ana. Con questo gruppo De Corto, un omaggio al grande navigatore, disegnato da Ugo Pratt, va in giro in lungo e in largo negli anni 80/90, in concomitanza, creava programmi e li conduci nelle radio locali di zona, e partecipava a Reading di poesia dove lo chiamavano insieme all’amico che fu Atro Vitelli, cantante degli Skiantos, una volta era conoscente anche di Marcello Fois, ma poi si è sfumata nel tempo l’amicizia; chi sa se prima o poi questa amicizia si riallaccerà in maniera sincera e più forte di prima. Negli ultimi anni, si dedica solo ed esclusivamente alla scrittura e solo dopo varie prove arrivato a riscrivere il suo primo romanzo.

PIANOCAVALLO

Di Stefano Cesari

Ho corso tutta la vita sopra ad un cavallo, il quadrupede sopra di me no, e questa cosa mi dispiace, sicuramente, perché sarei entrato volentieri nel libro dei Guinness dei primati. Ero tutt’uno con un puro sangue inglese, lui con il suo modo di fare mi ha insegnato l’eleganza e il portamento e di fatti anche a tavola, all’ora di pranzo e della cena ci sapevo stare senza sbavature, grazie a quello che avevo appreso da Tornado, lui oltre che elegante era bello, snello veloce più del vento, di fatti oltre il berretto aereodinamico avevo i capelli corti per non fare nessuna resistenza contro il vento. Giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno, ci sono cresciuto assieme per quindici anni, abbiamo fatto una marea di corse in giro per il Mondo. La mattina quando mi vedeva, era consuetudine che ci salutassimo in maniera singolare.

Tornado cantava e io mi univo a lui, era impossibile non farlo, lui con le note che infilava in una melodia ti catturava ed era piacevole, perché era un bel modo che non avevo mai provato di contraccambiare il buongiorno. Quelle canzoni erano giuste, ed erano così costruttive che mi aiutavano a sopportare la vita in maniera allegra e spensierata, e di fatti l’unico pensiero che girava nella testa era quello di essere lì con lui a cantare quelle canzoni idonee a riempire il cuore. Un giorno pieno di pioggia, mi inzuppai come un savoiardo dentro una zuppa Inglese. Da quanto ero fradicio, un temporale mi aveva colto di sorpresa e quando ti prendono alla sprovvista senza ombrello, ci si ritrova come dentro un mare d’acqua. Provocai una pozza che dovettero chiamare un prosciugatone di pozzanghere, sennò qualcuno ci sarebbe annegato dentro, però mi salvai e come un sommozzatore arrivai al box del maneggio e lo trovai vuoto, quel giorno. Tornado era scappato! Non lo aveva mai fatto, era sempre stato presente, non si era mai allontanato senza permesso, era sempre un cavallo Inglese e la sua educazione sconfinava a più riprese. Quel vuoto mi devastò, mi sentivo perso senza Tornado, non potevo stare nemmeno più nella mia pelle che avrei avuto voglia di strapparmela di dosso per capire dove poteva essere andato a finire quel fantastico puro sangue. Non riuscii a stare fermo e di fatti mi prese il ballo di San Vito. Non entrai in uno stato di depressione, sennò avrebbe vinto lei, la duchessa della lentezza e dei pensieri irrisolvibili, avrebbero avuto la meglio, presi però una decisione, una sola e unica decisione, senza di lui, non mi interessava più correre. Venne a trovarmi a casa Luigi il mio promoter. Lui era nato per quella missione, sarebbe stato capace di vendere le nuvole per fare ombra. Era così bravo a convincere il genere umano che avrebbe fatto passare uno stuzzicadenti come un giavellotto per formiche, indispensabile per l’equilibrio. Ero disteso sul mio comodo sofà, il cameriere lo fece passare Luigi, e me lo trovai molto vicino al mio viso, aveva sul volto una maschera di rabbia, primo perché erano le 10,00 di mattina e secondo non riusciva a capacitarsi per quel mio colpo di testa da genio. – Cosa ci fai Marco qui, bello tranquillo? Dovresti essere all’ippodromo a correre!

– Luigi io ci ho provato a correre con altri cavalli e non riesco proprio ad essere leggero come una piuma, per correre come il vento, per me le corse non hanno più senso.

– Marco non ci posso credere ti arrendi così facilmente, tu sei un fantino fantastico, di cavalli ne hai cambiati così tanti che non capisco dove sta il problema?

– Il problema è uno solo, senza Tornado mi sento perso!

 Avevo provato a correre con altri quadrupedi, ma non vi era stato nessuno tipo di storia così convincente per farmi cambiare idea e soprattutto per rendermi conto di aver trovato il sostituto di Tornado. Erano tutti troppo lenti sembravano che avessero il freno a mano inserito, dopo Tornado tutti i cavalli sembravano degli esseri appesantiti da un’incudine che avevano ingerito. Essere abituato a vincere era una bella sensazione e forse non dare la possibilità ad altri cavalli di farsi cavalcare da me era sicuramente presuntuoso ma non potevo farci niente, solo i più forti vincono e io modestamente lo ero diventato e non potevo abbassarmi a dei livelli dove non si sentiva nemmeno più il profumo della vittoria; io volevo continuare ad inebriarmi di quella forza adrenalinica che scatta nel momento che si taglia il traguardo per primo, quello stato inebriante aumenta con le vittorie accumulate. Le brutte figure le volevo lasciare agli altri e solo loro avrebbero avuto la stoffa di sentirsi sempre all’ombra del più dotato a vincere. Io ero quello adatto a salire sul podio più alto e se questo non fosse stato possibile nel continuare a farlo, allora era meglio incatenarsi e rimanere nei ricordi del pubblico, come il fantino più dotato e invincibile di tutti i tempi.

– Marco sei vuoi ti puoi prendere una pausa. Così ti rilassi e cerchi di elaborare questo lutto.

– Sai la cosa strana che mi sta capitando senza Tornado e che mi sento perso e però allo stesso tempo non correre più non mi manda nei pazzi, perché posso stare lontano dalle urla del pubblico.

– Ma tu sei un grande campione e ti capisco, anche io un tempo ero come te, ma poi ho trovato la tranquillità dal momento che sono passato a fare il coach.

– Luigi, cosa centra tutto ciò, io non sono come te.

– Ti capisco…

– Ma cosa capisci, quell’ottimo rapporto che avevo con Tornado lo voglio salvare a tutti i costi, costi quel che costi. Con lui Avevo un ottimo rapporto, punto e basta.

– Dai se vuoi ti posso concedere la mia spalla per piangere, poi quando hai terminato, torni a correre senza problemi.

– Per ora no, seguirò il tuo consiglio, come un cane da tartufo. Penso che ora puoi indire una conferenza stampa, così annunciamo il momentaneo ritiro del più grande fantino di tutti i tempi e poi quando mi sarò ripreso ritornerò

– Okay.Va benissimo, se questa è la tua scelta. Non ho altro da aggiungere.

     Il giorno dopo all’ippodromo delle cascine di Firenze fu indetto una conferenza stampa. Anche se Luigi il mio coach non era convinto, io in compenso ero convinto anche per lui. Aspettammo che tutti i giornalisti si fossero accomodati e Luigi fece gli onori di casa.

– Signori e signore, vi do il benvenuto da parte mia e da parte di Marco Trottieri il più grande fantino di tutti i tempi, come tutti ben sapete, il nostro Marco che tanto ci ha fatto sognare, si ritirerà temporaneamente, per stanchezza dalle corse che lo hanno visto protagonista indiscusso di una serie di vittorie nei più grandi ippodromi di tutto il mondo.

     Silenzio totale. Solo le mosche che volavano da un posto all’altro sì sarebbero sentite se ci fossero state. I giornalisti prendendo appunti in modo forsennato per non perdersi una parola di quello che era stato pronunciato, erano con le teste chine sui taccuini. Appena sollevate le penne dalle carte, il corrispondente di Repubblica prese al volo la parola e pronunciò la seguente domanda.

– Forse il fantino Trottieri si ritira per i suoi eccessivi ultimi insuccessi, visto che da quando non gareggia più con Tornado, non è che abbia fatto grandissime prove soddisfacenti con i nuovi cavalli?

  Un vuoto assoluto scese in sala e fu interrotto solo dall’inviato della Nazione, il quotidiano per eccellenza di Firenze e di tutta la Toscana.

– Scusi Trottieri, sono venuto a sapere da voci molto vicine al suo staff che lei è andato in crisi per la mancanza…

 Luigi non sapeva cosa rispondere, anche perché il giornalista del Corriere della Sera, piazzò subito un’altra domanda.

– Lei Trottieri, ha perso lo smalto per le vittorie, perché senza il cavallo giusto, ha smarrito quella magia che gli permetteva di essere tutt’uno con un animale veramente speciale, e di fatti quando correva con Tornado sembrava di vedere un’entità sola che girava nella pista, come un qualcosa che non si era mai visto prima.

 Luigi era diventato, di tutti i colori, sembrava come la bandiera della pace, me in realtà non sapeva come uscire da quelle affermazioni che erano state fatte, indirettamente tutte avevano annunciato un po’ di verità e per uscirne bene dal rapporto con i giornalisti, chiamò sul palco il mio medico personale.

– Signori giornalisti visto e considerato che rispondere a tutte queste domande una per una, non è per niente facile e poi ce il rischio di stare qui tutto il giorno, io cedo la parola al primario dell’Ospedale di Careggi Bottieri per quanto riguarda lo stato di salute psicofisica di Trottieri.

 Prese la parola l’illustre illuminato Professorone Bottieri che con una voce da trombone sfondato, dopo essersi tolto gli occhiali iniziò ad illustrare la sua diagnosi.

– Trottieri sta passando un periodo difficile della sua vita. Vive una molteplicità di umori dettati dalla sua memoria galoppante e per tanto ad ogni passo che copie ne pensa una, ma in realtà ne vorrebbe fare un’altra, e questa sua patologia lo porta a stare sempre in uno stato di agitazione e non riesce ad essere come ha illustrato benissimo nella domanda il giornalista del Corriere della Sera; tutt’uno con il cavallo che ha sotto di sé. Tutti noi vorremmo fare chi più chi meno svariate cose, ma Trottieri allo stato attuale non riesce a fare quello che ha sempre fatto, trottare, perché è preso da un vuoto che non riesce a colmare.

– Allora è vero che la mancanza di Tornado, tormenta Trottieri?

Riprese la parola il giornalista della Nazione.

– No! Io penso che con un giusto riposo torneremo ad avere Trottieri nella sua massima forma, questo e tutto, grazie mille alla prossima.

 Tutti i presenti rimasero in sospeso, ma in fondo non potevano fare altro che prendere atto di ciò che aveva deciso sia il manager che il dottore, così era andata e cosi doveva funzionare visto e considerato che Trottieri in fondo era solo una pedina che si muoveva in base alle scommesse che venivano fatte su di lui. Marco Trottieri, non attese la fine della conferenza stampa raggiunse la sua casa sulle colline di Fiesole, si sentiva perso completamente e di fatti si abbandonò nel suo morbido divano e si rilassò completamente, ma non durò a lungo, perché sentiva la mancanza di Tornado lo stava tormentando. Dopo una serie di giravolte effettuate su quel morbido sofà si arrese e iniziò a pensare che forse era il caso di andare alla ricerca di Tornado per capire dove era andato a finire. Non ci pensò due volte, prese una borsa e vi mise dentro due mutande, un paio di pantaloni e una bella t-shirt. Scese in garage, non salutando nessuno. La sua fidanzata era al centro commerciale i Gigli a scegliere un nuovo guardaroba. Trovatosi difronte al parco macchine, scelse la Range Rover Defender. Marco tirò dentro la sua sacca, accese il motore fece riscaldare a lungo i pistoni, come gli aveva consigliato Gino il suo fido meccanico e dopo che il circuito del motore cantava senza stonature, partì. Il suo istinto, lo condusse verso Bologna, ma non per l’autostrada del sole, preferì la vecchia strada, la via Bolognese, perché il suo umore non era di certo il massimo dello splendore. Mentre scorreva nella strada tortuosa verso il capoluogo dell’Emilia Romagna, il suo sguardo fu invaso dal verde che incontrava, dopo tante curve decise di fermarsi a Dozza. Parcheggiata la macchina decise di fare un giro per il borgo, mentre si inoltrava per il paese, i dipinti alle pareti iniziarono ad invaderlo, più si consegnava a quell’agglomerato di case, più era coinvolto da tanta bellezza gratuita che quel posto spigionavano. Ripresosi dal suo umore scosso, iniziò a sentire della musica che arrivava da uno scantinato e di fatti più si avvicinava al portone della Cantina 88 tasti, più la musica lo stava trascinando al suo interno e dietro la porta del locale vide seduto al piano Tornado che suonavo quella musica che lo aveva catturato fin dalle prime note. Era proprio lui la sua criniera marrone gli scendeva lungo il collo e la sua testa era piegata sulla tastiera del pianoforte. Marco gli si mise accanto e iniziò ad osservarlo, ma Tornado era così immerso nella sua musica che non si accorse del suo amico, fino a quando non ebbe terminato di suonare. Il Cavallo e Marco si abbracciarono. Erano felici e commossi di essersi ritrovati.

– Tornado perché sei scappato?

– Marco volevo tornare da dove ero partito e la forza che ho espresso con te, l’ho sempre trovata nella musica che mi girava in testa, ad un certo punto non ho resistito più è stato più forte di me, sono tornato qui a casa mia a suonare quello che in tutti questi anni abbiamo fatto assieme.

– Cioè?

– Abbiamo creato una melodia leggera come l’aria che ci ha permesso di vincere ogni gara che abbiamo corso, fin dal primo momento che ci siamo incontrati.

– Grande Tornado ti voglio bene, lo sai che da ora in poi non ti lascerò mai più, la mia vita con te è una meraviglia.

– Grazie, anche per me è la stessa cosa.    

L’immagine di copertina è un’opera di Jean-Louis Andrè Thèodore Gericault. Foto presa dal sito McArte.altervista.org