Billy Budd. La lettura interna di Vitaliano Trevisan
Di Geraldine Meyer
Chissà che cosa avrebbe pensato (e detto a labbra tese su denti immobili) della pubblicazione postuma di questo suo Billy Budd, Billy Budd an inside reading. Non possiamo saperlo. Ma possiamo leggerlo. Fino ad ora inedito, si tratta di un saggio del 2004, stesso anno di Shorts e a due anni di distanza da I quindicimila passi. Un lasso di tempo dunque in mezzo al cuore della sua produzione. Un testo che ci porta dentro un alto testo, in una sorta di vera e propria officina. Del resto è lo stesso Trevisan a condurci all’interno di qualcosa di molto concreto, quando scrive, proprio in apertura di libro: “Prima di tutto le cose fisiche: l’inchiostro, la carta, la scrittura.” E sembra di sentirlo parlare con quel suo accento e quella voce quasi monotòna. È l’inizio di questo testo. Una lettura dall’interno del testo a cui Melville lavorò (iniziò o forse riprese) tra il 1886 e il 1891. E per noi una lettura di un cammino letterario (quello di Melville) costellato da disincanto e disillusione, insuccessi e amarezze. Un uomo, scrive lo stesso Trevisan: “[…] una specie di Gauguin rovesciato che, anziché abbandonare tutto per inseguire un sogno, abbandona il sogno per non avere niente.”
Trevisan, con una scrittura tagliente e tagliata, pulita e lucida, ci conduce in quello che appare, a noi che leggiamo, un sottotesto di un sottotesto. Quello di Melville e quello di Trevisan medesimo. Lo avvertiamo quando lo scrittore veneto ipotizza: “Billy Budd è una narrazione non interiore, ma interna, come se lo scrittore non stesse affatto cercando di scrivere la storia, ma la storia della storia, quella che di solito egli tiene per sé, non un meta-testo dunque, ma un sottotesto, un testo interno.” E leggendo queste pagine viene da pensare, o ipotizzare, che anche Trevisan abbia scritto la storia di una storia, non tenendola per sé.
Tra queste pagine, la storia del marinaio Billy Budd, accusato falsamente di ammutinamento e impiccato per avere ucciso colui che gli aveva gettato addosso questa menzogna, diventa quasi una cronaca speculare di alcune dinamiche umane che Trevisan sembra conoscere direttamente sulla pelle, che si fa foglio e parola. Billy Budd, che è ciò che appare e Claggart, l’accusatore, che è ciò che non appare, diventano quelle pietre d’inciampo su cui si tesse comunque un discorso di analisi estremamente chiaro pur estremamente complesso. Ciò che appare e ciò che non appare nella scrittura di Trevisan, in questo libro, diventano il modo per raccontarci, più che il libro di Melville, la capacità dello scrittore americano di dire l’indicibile, semplicemente raccontando “la storia di una storia”. Lo indica Trevisan stesso quando scrive: “Non è forse questo uno degli scopi della scrittura […] rendere nel modo più chiaro e razionale, più specifico e lucido, il vago e l’indefinito, l’indeterminato, l’irrazionale?” Di chi sta parlando Trevisan? Di Melville? Di sé? È questa la sua inside reading.
Verità, apparenza, menzogna, versione della storia. Tutto si mescola e tutto si tiene in questo brevissimo ma densissimo saggio in cui le parole finali sembrano davvero una profezia di questi giorni, eppure Melville le scrisse tanto tempo fa: “Nessun figlio assomiglia nel sembiante al padre più di quanto questa legge assomiglia nello spirito a ciò da cui ha preso origine: la guerra […] e “La guerra guarda solo alla facciata, all’apparenza.”
Piccola Biblioteca Oligo
Saggistica letteraria
Oligo
2022
43 p., brossura