L’eroina non era un buon affare, a Lager-Loreto
Di Vladimir D’Amora
A Lager-Loreto, l’eroina non è mai stata un buon affare. Neppure quando, a Lambro o a Secondigliano, ai giovani e ai vecchi diedero pensioni e bustine a basso, rovinosissimo, ricattante valore. A Lager-Loreto, dopo i bambini indianini importati come pezzi allevandi, secondo i protocolli ipocinetici delle adozioni epocali: e dopo i cinesini importati come lacerti di stoffe piccanti e a dieci euro io-a-te-lo-do-prezzo-buono: e dopo certe puttane, che spariscono in vista di altri lager da puttana libera di respirare aria pubblica per puttana nuova impiantata mentre connazionali albergano in case come strumento-uomo: come schiave-dotate di eufemismi padronali e mediocratici nei salotti – oramai estintisi – nelle chat – oramai alle dieci rare – alle pensiline dei bus e in tanta e troppa babila di lingue come allo scambiarsi le chiacchiere le televisive. A Lager-Loreto. Si continuano a sterilizzare cagne e a castrare sarti e poeti e cani e ad abbattere, però stagionalmente, alberi: per le potature di Stato. Quasi notturni bracci e meccanici robot lavatori di strade lavate anche privatamente e milanese mente. A Lager-Loreto, c’è una smisurata o mezza dozzina di realtà, sparse e impiantate come fiori mobili, gli studiatissimi innesti di figura. Su quello che c’è, è forma disinteressata che sa sussurrarlo e amarlo coi muri e con le interiorità che dovrebbero rinunciare, il peso di una vita nel presente.A Lager-Loreto, c’è una immensa operazione di traduzione asintomatica, tramontante, appiccicosissima…A Lager-Loreto, la polizia ha agende, su cui appuntare vite già personalizzate, ormai le tradotte in impianti di codificazioni esistenziali se a Lager-Loreto il potere esecutivo si slaccia dalla forma sua e forza – lo stato di eccezione come regola impossibile e impossibilmente cileccante – con la polizia che non riconosce il negro adottato: il negretto servizievole: il negrone sbarcato e affamato – o lo riconosce solo. Od ogni volta egli è da solo sempre. A Lager-Loreto, ci si determina in una specie di comodo e climatizzato stadio angusto e puro: e più che reperibile. Con la parole adatte ai vuoti, con le vacanze nominabilissime. Attendere che ancora s’impari il respiro, è portarsi l’ombra, stando da soli e per immancabili sorprese, nel condividere vizi e tramonti. Su case basse, su tinte umane, umanisticamente adottate a tenere rincasati i migliori dei compranti tra le poche ore. Ed è palazzina color gelato siciliano, palazzina color fede di pane caldo senza il sale, palazzina color malattia mentale; e la palazzina color del nuovo, una, che non è popolare, e l’altra, che è lucente e dall’interno a vista, se un’altra ha sole dentro metallo fuori, a caccia di quella che è un fallimento di architettura imprestata all’ingegnere edile, a salvarsi dalle ingerenze dell’imprenditore e del mattone. A Lager-Loreto si lavora: si costruisce ancora ciò che si lavora. Si aprono: Ristorante: come se si aprissero: Bar: come se si aprissero librerie, che non si aprono, come se si aprissero Connessioni di Rete Pubbliche, che non si innescano: ossi come se si aprissero Farmacie, che si aprono: come se si aprissero Pizzerie, che si aprono e si chiudono: come se si aprissero: Studi di Veterinarie scortate da Veterinarie: NOI CHE DAI NAZISTI imparammo a sterilizzare animali come fossero uomini, per umani da appartamento, per homo nel supermercato. A Lager-Loreto, a ciascuno si chiede di indossare una faccia atta a funzionare nel ruolo della traduzione, una faccia che dia l’inconsistenza dell’inopportunità irrimediabile, una faccia per la compressa adeguazione, per il resto delle facce, convocate e costrette dall’aria, che se lo continuerebbe, il respirare sfumando in una o nell’altra di queste direzioni massimali. O come fosse il peso…A Lager-Loreto, troppi particolari progettati, ove si impedirebbe l’assunzione della libertà sull’abisso di una distrazione capitale, cioè sull’eroina. All’anima, dall’eroina, non è stato concesso un ineffabile sempre aggiornato; e del corpo una ancora ammirevole resistenza all’aperto, mentendo per essere scoperti nel più innocente e incondizionato dei movimenti. A Lager-Loreto, l’eroina non farebbe le domande che possono volersi, ma sono solo saluti. Talora controdomande. Talora capiterebbe e per lo più di salutare a un ingresso il vero e il buono e anche l’utile. A Lager-Loreto, resta l’eroina come la repressione e la censura sarebbero restate ai margini del sistema. Una specie di origine imprigionata come un evento, per l’inapparenza finanche sedata, come i ragni e le mosche e i bambini sciamanti e le vecchie claudicanti e i gialli squittenti e le rosse sculettanti e i giappo nascondenti, da fuori, la trasparenza della loro interna cucina nella vista. A Lager-Loreto, per la coppia di soldati esibiti a fare da eroina ostensa, si corrispondevano così la tristezza e la gioia, il lavoro e la sua reiterata e aggiornata reificazione e privazione. E una treccia e ogni sua bellezza. A Lager-Loreto, per le recenti violenza, è ricomparsa anche un’altra eroina. Prima dell’estate. Dopo.