MAYUMI INUBA: VENTI ANNI CON IL MIO GATTO
Di Fabio Orrico
A giudicare dai cataloghi delle case editrici, anche quelle prestigiose come Einaudi, il legame tra gatti e scrittori giapponesi sembra avere forgiato, negli ultimi anni, un genere a parte. A naso quasi mai si ha l’impressione di avere a che fare con testi letterariamente robusti anche se questa tendenza, sforzandosi di tracciare una tradizione, ha la sua scaturigine in due grandi romanzi novecenteschi: Io sono un gatto di Natsume Soseki e La gatta di Junichiro Tanizaki. A ingrossare le schiere di questo sottoinsieme felino ecco la casa editrice Atmosphere Libri, il cui lavoro di scoperta o riproposta della letteratura nipponica è encomiabile e si divarica tra veterani del calibro di Abe Kobo e Ryu Murakami e nomi finora sconosciuti al lettore occidentale ma assai stimati in patria. È questo il caso della poetessa e narratrice Mayumi Inuba, vincitrice del premio Kawabata, tra i massimi riconoscimenti letterari del Sol Levante.
Venti anni con il mio gatto è un memoir nel quale l’autrice ricostruisce la sua convivenza, dal 1979 al 1997, con Mii. Inuba trova la gattina abbandonata e bisognosa di cure, appesa a una rete, quasi un correlativo oggettivo della disperazione. È il suono della sua voce, il suo miagolio a suggerire il nome dell’animale. Mii attraversa la vita di Inuba, i cambiamenti, gli abbandoni, il migrare degli affetti ed è testimone dei traslochi che costellano l’esistenza dell’autrice. Da Fushu, centro conurbato e periferico, a Tokyo, la Grande Città, mentre nel frattempo la vita scorre, il matrimonio di Inuba va in crisi, quindi si spegne. Nel frattempo si avvicendano lavori diversi, più o meno remunerativi, più o meno gratificanti, il riconciliarsi con gli affetti familiari, le nuove amicizie, la partenza stentata e poi la prosecuzione e il coronamento di una carriera letteraria che, giocoforza, deve convivere con la quotidianità più prosaica. Ma, a guardare bene, questo è solo lo sfondo. In primo piano abbiamo sempre il rapporto di Mii con la sua padrona.
Mii è una gatta paurosa, furba, tenerissima, a tratti arrogante nel suo reclamare l’amore di Inuba. La via crucis di un possessore di gatti è resa con sintesi vivida e universale: la negoziazione continua con gli spazi di libertà concessi, il panico quando l’animale sembra smarrirsi o ritarda di qualche ora il rientro da una passeggiata, l’esplorazione millimetrica del quartiere. In questo senso il libro di Inuba è anche un personalissimo saggio di edilizia urbana, ci mostra l’evolversi (o l’involversi) di una città, lo slittamento di una cultura che finisce per trasformare inevitabilmente le soluzioni abitative e quindi le abitudini e quindi il codice esistenziale di una popolazione. A volte Mii sembra incarnare l’alter ego di Inuba, sorta di specchio naturale, consolazione ed impegno genitoriale surrettizio.
È un libro toccante e terso, Venti anni con il mio gatto, un’elegia dolcissima che difficilmente lascerà indifferente chi divide la propria vita con un animale domestico e con un gatto in particolare. Ma le sue qualità letterarie vanno oltre la mera contingenza e collocano il libro in una tendenza, poetica e contemplativa, intimamente e trasversalmente inscritta in tanta narrativa nipponica.
Come è facile immaginare le pagine più strazianti sono quelle dedicate alla morte della gatta. È una piccola guerra privata quella di Inuba che, senza reticenze, racconta gli ultimi giorni della sua convivente con una lingua implacabile, equamente divisa tra amore e dolore: Il crollo progressivo di Mii, il cedimento dei suoi organi, la lenta, impossibile preparazione al distacco definitivo. Un libro bello e importante che potrebbe essere letto in parallelo con il manga Allevare un cane di Jiro Taniguchi, anche quella opera di vita e di lutto insieme, che poi sono gli estremi nei quali, volenti o nolenti, giochiamo tutte le nostre partite.
Asiasphere
Memoire
Atmosphere Libri
2022
180 p., brossura