Tempesta in giugno, un’altra suite
Di Geraldine Meyer
La consapevolezza di essere al lavoro su quello che sarebbe stato il libro più importante. Questo guidò Irène Némirovsky a un continuo lavorio su quella Suite Francese che, nel 2005, incantò una imponente schiera di lettori italiani quando il libro venne pubblicato nel nostro paese. Consapevolezza non solo rispetto all’importanza del testo ma, anche e soprattutto, della inevitabile natura postuma che lo stesso avrebbe avuto. Fu così che nei mesi che precedettero la sua deportazione, la scrittrice continuò a lavorarci, rimaneggiandolo, correggendolo e, in pratica, riscrivendolo. Ma quel maledetto 13 luglio 1942 l’arresto mise fine a quella revisione che si “fermò” a Tempesta in giugno. Cinque dovevano essere i movimenti della suite, Tempesta in giugno era il primo. Forse il più intenso, sicuramente quello che più lucidamente dipinge uno dei momenti più tragici della storia francese e della sua società. Una specie di commedia umana i cui contorni sono i momenti terribili dell’arrivo dei tedeschi a Parigi e il conseguente esodo dalla città.
Quello che i lettori ora possono leggere, grazie ad Adelphi, è proprio la seconda versione del dattiloscritto eseguito dal marito e corretto dalla stessa Némirovsky. Diverso in molte sue componenti dalla versione manoscritta che, anni dopo, la figlia Denise “decifrò” facendolo conoscere. Siamo dunque difronte a qualcosa di inedito la cui lettura non sarà certo superflua nemmeno per i lettori di Suite Francese.
Il brano di una sinfonia, un pezzo di cinema, un vero e proprio affresco con cui la Némirovsky tentò, riuscendo, di disegnare gli archetipi della società francese davanti al disastro. La bravissima Teresa Lussone, ricercatrice e curatrice, insieme a Olivier Philipponnat, sia dell’edizione francese sia di quella italiana, scrive: “Seguendo il modello dell’impersonalità flaubertiana, elimina tutti i commenti del narratore, si eclissa dietro scene raccontate affinché i fatti diano l’impressione di svolgersi sotto gli occhi del lettore.”
Ed è esattamente ciò che accade leggendo questo testo in cui letteratura e immagine si mescolano in un equilibrio stilistico e drammaturgico di qualità elevatissima. Una scelta di impersonalità che si riflette sul modo in cui vengono delineati e raccontati i protagonisti, quasi clichè, simbolo e condensazione delle rispettive appartenenze sociali. Ed è proprio questa caratterizzazione che consente alla Némirovsky di creare un vero e proprio affresco in cui ciascuno dei personaggi diviene emblema di vizi e virtù, resistenza e debolezza, grandezza e piccolezza dinanzi alla tragedia. Scrive ancora la Lussone, nel bellissimo e curatissimo saggio che arricchisce il libro, queste parole che ribadiscono quanto scritto: “Un romanzo sulla storia contemporanea, sulla lava incandescente, per riprendere l’espressione di Irène Némirovsky, ma in cui la storia va solo sfiorata: sono, invece, i sentimenti umani a dover essere messi in scena.” Ciò che questo libro riesce a fare. La tragicità, il grottesco, l’amaro ma anche il comico accompagnato alla meschineria, sono l’umano nella sua universale essenza colta dinnanzi all’estremo. Che è anche il contrasto tra le vicende “piccole” e quella “storia grande” che è quinta teatrale e palcoscenico insieme. Il collezionista di ceramiche per cui solo quelle contano, lo scrittore egotico, i due umili impiegati, il soldato che aspira al martirio, la donna la cui unica preoccupazione è quella di non poter più trovare la sua cipria o il filantropo divorato dalle sue stesse creature, sono tutti il palinsesto e lo spartito musicale su cui la Némirovsky disegna e compone “la sinfonia della disfatta”
Biblioteca Adelphi
Letteratura
Adelphi
2022
339 p., brossura