La colpevole. Il passato torna quando non è concluso
Di Geraldine Meyer
C’è una bellissima canzone di Samuele Bersani che, a un certo punto, dice: “Il passato ha fame e sete, e fa il padrone.” Potrebbe essere questo il gioco, a volte doloroso, che ci si trova a giocare con il tempo che sembra tornare cavalcando ciò che sembrava sepolto. Ed è un po’ questo che accade nella storia di Nanni, protagonista dell’ultimo libro di Maurizio Garuti, La colpevole, pubblicato da Pendragon. Un libro che, già dal titolo, ci racconta di come accada che qualcuno si porti addosso un segno, una sorta di lettera scarlatta. Talmente invadente da assorbire ogni sguardo, pensiero e, purtroppo, giudizio. Una specie di interdetto oltre il quale non si può andare, nemmeno per cercare di comprendere, se non proprio perdonare.
Quella de La colpevole è una storia vera, la storia di Alberto Melotti, detto Nanni, a cui Garuti dona la sua consueta sapienza di “raccontatore di storie”, con quel suo clima narrativo che avvolge di romanzo avvenimenti storici o comunque reali. E questa volta è la storia individuale di un uomo che diventa anche pretesto per raccontare una parte della storia del nostro paese, quella del periodo duro e crudele della guerra. Un periodo in cui l’odio e le incomprensioni erano talmente esacerbati che nemmeno avevano bisogno di pretesti per scatenarsi. Talmente profonde le ferite che le cattiverie degli uni divenivano le cattiverie degli altri. E Garuti è sempre molto lucido e delicato al contempo nel dirci come, la guerra, tiri fuori il peggio, da entrambe le parti. E come la consapevolezza di ciò non cancelli affatto i crimini, non metta tutto e tutti sullo stesso piano ma necessiti, semmai, di un respiro più ampio. Quel respiro che non dimentichi che la storia grande è fatta anche, e forse soprattutto, delle tante storie “piccole” che ci si sono trovate in mezzo.
Il passato, ne La colpevole, torna con una telefonata inaspettata. Quella che Nanni, ormai uomo maturo e sereno, per quanto possibile, riceve un giorno da un ospedale di una città lontana. La voce, all’altro capo del filo, gli comunica che sua madre verrà dimessa l’indomani me che, non potendo camminare, ha bisogno che qualcuno se ne prenda cura. Nanni non sapeva nemmeno che la madre fosse ricoverata. Forse non “sapeva” neanche più della sua esistenza. Dove “sapere” vuol dire avere rapporti, consuetudine, affetto.
Per l’uomo quella telefonata sarà la pietra d’inciampo, la curva improvvisa che costringe a cambiare andatura, che impone di voltarsi indietro per mettere insieme i pezzi mancanti della propria storia. Della propria vita. Nanni era un bambino, c’era la guerra. E di quei giorni bui lui conserva solo ricordi altrettanto bui. E vaghi. Però ricorda che sua madre, la bella Angela, sposata senza amore dal padre di Nanni, soldato ubbidiente alla disciplina e al decoro militare, si incontrava con un ufficiale tedesco. Quei due si volevano bene, incuranti dei colori di una divisa e della follia che aveva trasformato gli esseri umani in nemici. Una colpa troppo grande, imperdonabile, senza remissione. La notte prima della Liberazione Angela farà qualcosa di terribile, prenderà forse la decisione più lacerante per una madre. Ma lo farà per motivi ben diversi da quelli che, il paese e la comunità, le inchioderanno addosso.
Da quel momento la vita di Nanni conoscerà la solitudine e lo stigma del Bastardo. A stento sopportato, disconosciuto anche dal padre. La colpa della madre ricade su di lui con la protervia figlia della paura, dell’orgoglio e della stupidità umana. Lui andrà avanti, diventerà uomo nonostante i molti buchi (affettivi e non solo) che costelleranno la sua esistenza, proprio come i crateri lasciati dalle bombe. E sarà proprio grazie a quella telefonata che ripercorrere il passato sarà certo doloroso ma sarà anche una seconda possibilità.
Maurizio Garuti costruisce un romanzo partendo da una storia vera e lo fa regalandoci un libro in cui, con la sua consueta abilità affabulatoria, il lettore entra nella Storia, con i suoi orrori e le sue vendette. Camminando accanto agli uomini e alle donne raccontati nelle pagine. Uomini e donne che, con i loro gesti, a volte alti e altre meschini, divengono quasi guide all’interno di un tempo duro e di una geografia della memoria.
Romanzo
Pendragon
2022
189 p., brossura