La guerra negli occhi di Paulette e Michel
Di Geraldine Meyer
Quando, nel 1947, questo meraviglioso e crudele Giochi proibiti uscì in Francia, si scontrò dinnanzi alla pressoché totale indifferenza sia della critica sia dei lettori. Forse il fatto che fosse un’opera prima o che troppo vicini fossero gli echi degli orrori della guerra. Poi accadde che René Clément ne fece un film, nel 1952. Il regista, con questa pellicola, vinse il Leone d’Oro al miglior film alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e l’Oscar per il Miglior Film Straniero. In un certo senso davvero scavalcando, in termini di successo, il libro da cui fu tratto. Scherzi del destino.
Adesso, sempre grazie ad Adelphi, i lettori italiani possono immergersi in queste pagine piene di grazia e dolore, levità e lacrime. La guerra vista attraverso gli occhi di due bambini che ne sono testimoni e filtro, sguardo e disorientamento. Paulette ha nove anni a cui le incursioni aeree dei nazisti hanno strappato i genitori. Il suo pantheon di bambina è popolato da animali, persino il pilota dell’aereo che ha bombardato una folla disperata e cenciosa, in fuga, hai per lei l’aspetto di un lupo. Attorno sangue, piedi nudi, corpi su cui il sangue rappreso è, per lei, come un frutto scuro. Paulette scappa ma il suo animo di bambini sembra per sempre pietrificato e paralizzato in quel momento. I suoi grandi occhi azzurri sono sempre fissi e immobili. Scapperà e nella fuga incontrerà il piccolo Michel, bambino contadino, pieno di grazia e di incontenibile bontà, con grandi orecchie su cui poggia il suo cappellino.
I due bambini in qualche modo si riconosceranno, trovando l’uno nell’altro un loro modo per elaborare tutto quel dolore, la morte, l’incomprensibile. La loro amicizia sarà una impalcatura per reggersi in un mondo fatto da adulti abbruttiti dal lavoro, dalla grettezza e da quella sottile violenza che non è fatta solo di schiaffi ma, soprattutto, da una sostanziale incapacità di trarre dal mondo e dai rapporti umani qualcosa di diverso dall’utilitarismo e dall’indifferenza. È una Francia profonda e agricola, i rapporti umani ha l’ossimorica claustrofobia degli spazi ampi ma vuoti. Michel vive in una sorta di villaggio agricolo con un’osteria, una rimessa per il carro funebre, una chiesa poco lontano, un cimitero e le mucche da portare al pascolo. E nella sua famiglia è l’unico a non essere stato risucchiato in una sorta di ebete fatica, di obbligata vicinanza e consuetudine reciproca.
Michel sente il dolore di Paulette e riuscirà a convincere la grettezza di suo padre affinché la bambina possa vivere a casa loro. Comincia così il rapporto tra queste due creature che appaiono al lettore quasi come le due facce della stessa guerra. Una indurita dalla morte e dalla paura e l’altra ancora capace di una innocenza che ha fame e sete. Tra adulti litigiosi, preti surreali e grotteschi, i due bambini “giocano” con la morte forse senza nemmeno saperlo. Paulette vuole un cimitero per il suo cane e per tutti gli animali morti per qualunque motivo. Michel le fabbrica croci. Il loro legame è fatto dalla morte, dalla sua celebrazione e, in fondo, dalla consacrazione della vita attraverso il gesto della costruzione di una tomba per ciascuna creatura. La guerra, ci pensa lei, a lasciare morti insepolti e senza nome. Per Paulette non deve essere così e Michel sarà un giovane e tenerissimo Gesù Cristo che la croce la porta e che, in un certo senso, muore in croce per liberare il mondo dalla cattiveria e Paulette dal suo dolore.
Libro terribile e sublime nello stesso tempo, scritto con uno stile quasi ruvido a tratti e a tratti levigato, se non nelle parole sicuramente in quel soffio di grazia che emana dai due bambini. Anche se la grazia di Paulette è, paradossalmente, la sua stessa condanna e il non trovare redenzione. Sarà la scena finale, terribile, a dirci questo. E a farci capire in quale accezione siano proibiti i giochi dei due bambini, accezione più chiara se si legge il titolo originale in cui ci si può soffermare sulla parola “interdetto”. Un libro da leggere soprattutto in questi giorni. Perchè la guerra uccide anche quando non lo fa direttamente.
Fabula
Letteratura
Adelphi
2022
130 p., brossura