Mr Grey e l’Arlecchino
Di Giovanna Mangiaracina
Mr Grey e l’Arlecchino fanno a botte in un caos di baci affollati di notte e di giorno, ripiegati nell’anfratto delle ore a pendere da un lato e massacrarsi di gelato.
Altro che smania, altro che voglia, questa è la soglia del peccato più nero, ti attraversa e conversa con le nubi nel cielo sereno, limpido, turchino, un cielo da pittore screanzato, che abbracci il creato e assorbe il tempo sciogliendo pietre navigando in altri mari.
Altro che lampadari accesi a scongiurare le paure di un bambino, qui il nero è pece e invece del grigino sfocatino, la violenza della luce primordiale.
Qui facciamo sul serio e ci diverte la morte e ci giochiamo a sorte la cuccagna, nessuno ci guadagna, soltanto un po’ di cantonate e tante illusioni, poi prigioni colorate, ecco, affamate e solitarie con il noioso sciorinare bugie per un sorriso che gabella e tace quieto e falso nel sereno imbrunire.
Te lo sei messo il vestito della festa, te lo sei messo l’archibugio in testa, te lo sei messo quel maglione colorato e poi il violato tormento di un piacere senza fine e poi la ragione e poi quand’è che correrai, anfitrione e poi quand’è che volerai con la voglia di scoprire se da un parte, ma solo in parte, ti perdono e poi ti abbandono, per ritrovarti in diecimila fantasie, in poche poesie perché lo sai, dei poeti è la sorte, dei poeti è la morte.
Alla mia corte, splendore di rose profumate e asfalto grigio per la tua bicicletta, pedala in fretta e cerca di trattenere il fiato, perché io l’ho bevuto in un bicchiere di vino rosso venuto a versarsi sulle tue ali abbandonate.
Sorridevamo inermi nel vedere il giorno, i vermi nascosti nel mio teschio, poche righe da attraversare e già il tramonto a spargere quel rosso generale di costante progressione verso la fine, verso l’incontinente desiderio, verso le apparenze del giglio.
Era soltanto un giaciglio dove mi avevano steso, al sole, affinché riprendessi la vita interrotta per caso e lasciata sotto coltri di papaveri e viole.
E te ne accorgi del povero scemo mutilato, privo di orpelli e triste nella mestizia da ricorrenza paludata.
E invece io l’ho sognato, inseguito, rantolante nella seta e riportato a miglior vita e che sciocca la benda tra le dita a rimarginare la ferita, mai esistita.
Eroe dimenticato, re del giovamento, pecora ammansita che fugge trascinando il mio sguardo annebbiato.
Non vedi, non vedi che il povero massacrato è il grigio delle ore, l’ho portato in seno alla follia del mio volo sbrindellato.
Eccolo che splende sopraffatto dalla ragione, incollato alla sua prigione dorata. Un’armata finge di assalirlo e lui procede con la mazza ferrata in pugno cantando strofe sconce. Eccolo, datato personaggio, in seguito a un lavaggio sbagliato, scolorito nel pensiero di un mago, si affaccia alla finestra e finalmente respira, lieve si sottrae alla condanna, distende le ali e vola.
L’immagine di copertina è Confusione mentale, di Ivan Cuvato. Foto presa da ioarte.org