Marco Imparato e Tertulliano Maximo Afonso. Un gioco di specchi
Di Geraldine Meyer
Vasi comunicanti tra letteratura e vita. Così li chiama Marcello Caprarella, autore di Un male urbano. Vasi comunicanti anche tra letteratura e letteratura, tra libri e libri. Una lettura, la mia, sicuramente arbitraria, forse ardita. Ma quasi imposta dalla lettura stessa. Le pagine di Un male urbano e di L’uomo duplicato di Josè Saramago quasi si sovrappongono, in un continuo richiamo, gioco di specchi e doppi. Quei doppi, concetto amato e studiato dallo stesso Caprarella.
La suggestione, dunque. La suggestione che porta ad accarezzare il pensiero che Marco Imparato, protagonista di Un male urbano, e Tertulliano Maximo Afonso, protagonista di L’uomo duplicato siano davvero l’uno il doppio dell’altro. Marco autore di un diario e Tertulliano “autore di labirinti” come definito dallo stesso Saramago. Il suicidio del primo guarda allo specchio il secondo con il suo duplicato. Che forse è fantasia di controllo sull’Altro (maiuscolo alla Lacan) come lo è il controcanto degli amici di Marco, con l’impossibile risposta rispetto alla scomparsa dell’amico. In entrambi i casi tutto diviene parola, letteratura, racconto. Uniche corde tese possibili sull’afasia.
L’unicità, di ogni essere umano, come pure di un suo gesto estremo, riconosciuta e accolta nel racconto. Pur sapendo che il rischio è sempre uno strappo, il dolore di qualcuno. Rischio che qualcuno muoia, che qualcosa muoia. Suicidio o omicidio che sia. Ecco perché, forse, leggere il libri di Caprarella nella filigrana di quello di Saramago. Con entrambi i protagonisti definiti, con parole quasi identiche, dai loro “inventori, fragili perché rigidi.
Un male urbano è un romanzo in forma di diario, un diario romanzato. Ma forse, chissà, anche un saggio sperimentale. In cui il tempo scandito dalle date, diaristiche appunto, funziona come appiglio al reale. Ma quale? Quello di Marco Imparato o quello dello stesso Caprarella di cui Imparato sembra appunto un doppio? Diario allora, quella forma in cui la vita diviene immediatamente scrittura. Come per Tertulliano (e per Saramago) diviene scrittura la sequenza dei giorni di Tertulliano che, invece del diario, ha i suoi dialogo con il “senso comune”
Marco Imparato è il cantore, disilluso, disincantato, anacronistico, di un disagio che non è solo individuale. Che parte da lui, certo, ma ha di volta in volta le fattezze di un lavoro non amato, di una Madrid spetrale e surreale del lockdown, di domande sulla società, sulla letteratura, sul rapporto con i figli e con gli amici. E forse con un sé stesso tanto disorientato quanto lucido e chirurgico nel raccontare i suoi pensieri e il suo vagare in essi. Con Madrid protagonista tanto quanto lui, il suo bar preferito e le testimonianze degli amici a fare da coro e da contrappunto. E da “pausa” ritmica nel fluire del racconto dei giorni. Il male urbano è tale proprio perché non è solo di Marco e leggendolo lo sentiamo avvilupparci. Proprio perché, con diverse sfumature, riguarda tutti. O tutti dovrebbe riguardare il tentativo di comprenderlo e elaborarlo. Sì, Marco Imparato appare come il simbolo di un tentativo di rielaborazione collettiva. È un ossimoro, certo, che possa essere collettiva l’analisi di un solo uomo. Ma è per questo che gli ossimori riescono dove, spesso, altro non arriva.
Il suicidio di Marco Imparato è l’addentrarsi nel disagio di un labirinto proprio come lo è quello di Tertulliano nel cercare disperatamente l’uomo/attore che casualmente vede recitare in un film e scopre essere identico a sé stesso. La differenza è come i due uomini “escono” da questo labirinto.
Un male urbano è un libro sorretto da una forte impalcatura di cultura e letture, di scrittura elegante e fuori dal tempo. E anche qui sarebbe da sottolineare l’ossimoro grazie al quale sia proprio una scrittura inattuale e fuori dal tempo a raccontarci questo tempo con le sue mistificazioni, menzogne, ipocrisie, pantani retorici del mondo del lavoro come di quello delle scuole di scrittura creativa (sublimi le pagine a queste dedicate), emblema di un’epoca che pretende di insegnare ciò che non sa o crede arrogantemente di sapere. Ed è proprio in questo pantano che Marco resta, piano piano, prigioniero. E noi con lui, mentre leggiamo. E nella filigrana del suo diario vediamo Tertulliano rimanere imbrigliato in un pantano molto simile. Che è quello delle tante personalità possibili, con i loro angoli bui. Un “ciò che è stato” e un “ciò che avrebbe potuto essere”.
Un gran bel libro quello di Marcello Caprarella. Anche per il suo legarsi a un altro grande testo. In quei rimandi che sono la cifra della letteratura alta, non consolatoria e tanto meno di intrattenimento. Due caratteristiche che, infatti, non sono della letteratura.
AcquaRagia
Diario romanzato.
Felici Editore
2022
312 p., brossura