“Ciò che l’Isola dice”: l’affascinante viaggio poetico di Cristina Annino e Ugo Magnanti attraverso il mal di Sardegna
Di Laura Vargiu
Sulle suggestive note della chitarra del Maestro Fausto Ciotti, prende vita il melologo scritto e magistralmente recitato dai poeti Cristina Annino e Ugo Magnanti.
Con la partecipazione di Maria Luisa Bigai, importante docente e artista in ambito teatrale, il componimento va ad arricchire il già degno di nota e variegato catalogo della Casa Editrice FusibiliaLibri, diretta da Dona Amati, che lo ha pubblicato alcuni mesi fa all’interno della sua collana di teatro palco.
Un’opera, Ciò che l’Isola dice, di gran pregio, davvero originale e sorprendente, il cui titolo così enigmatico non manca di suscitare curiosità nel lettore; il sottotitolo, Capriccio sul mal di Sardegna, puntualizza subito a quale isola ci si riferisca, mentre pian piano si fanno strada assolati scenari che profumano di lentischio, bacche e brezza marina sotto inconfondibili cieli di solitudine antica.
Tre le voci che iniziano ad avvicendarsi e intrecciarsi: quelle di una “Testimone insulare”, di un “Ciclista essenziale” e di “Una bruxa”, interpretate rispettivamente da Maria Luisa Bigai, Ugo Magnanti e Cristina Annino. Tre figure che sembrano emergere d’improvviso dalla terra stessa, dal fitto dei suoi alberi, dai suoi crepacci e rocce che, seppur in silenzio, raccontano millenni di storie.
Introdotto dalle parole della Testimone, prende avvio il viaggio del Ciclista che, approdato da lidi lontani, “[…]si è fatto i tendini, si è/ fatto i muscoli […] ed è essenziale come nulla […]”; lui stesso diviene “un pezzo d’Isola”. Un viaggio intenso e appassionato, il suo, che, dalla Gallura al Sulcis, passando per la Barbagia, attraversa un luogo che in quest’amalgama perfetto di versi e musica non manca di svelare il proprio fascino senza tempo, fatto sì di dolcezze, ma anche di asperità.
La Bruxa, “celata/ nei boschi […], sui monti, nell’aria/ salata” e portatrice già nel nome di un mondo ancestrale di magia e superstizione che non è mai venuto meno (bruxa è termine spagnoleggiante traducibile, infatti, con strega), accompagna la traversata del Ciclista con il disincanto di riflessioni sibilline che danno voce anch’esse all’Isola; anzi, a tratti si ha come l’impressione che a parlare, per bocca sua, sia proprio l’Isola.
“[…] vivo senza preghiere abbeverando/ pozzi sacri, sempre sopra la stuoia/ d’ossessive fragranze dei rami di/ piante spalancate sull’acqua viola.”
La “sarda vastità” – con le sue lande polverose e riarse, i suoi paesaggi urbani e agropastorali, quelli forgiati dal vento e persino quelli devastati dagli incendi – scorre al ritmo delle pedalate che coprono distanze geografiche, ma non solo, mentre le parole, lente e dal respiro profondo, si compenetrano. E se da un lato “invecchiare è un’arte scurrile”, dall’altro l’eternità diviene certezza.
“[…] Tanto il tempo/ cammina senza vene, ammazzato, e non reggono/ più le barriere del mito. Crollano case, sparisce/ il confine; bruciato le streghe!”
Momotti, s’orcu, sa stria e “altri potenti” della tradizione popolare fanno capolino tra queste pagine riemergendo dagli anfratti delle paure più arcane, sullo sfondo di antichi abigeati e nuovi furti e violenze, finzioni e profanazioni, sino a scenari disperati d’emigrazione e inquinamento che sanno dell’oggi.
“[…] Piovono migranti sull’onde del/ porto chiuso. Grandine a morte su preti, massaie! Su gente che dà pane carta/ agli squali dal cardine delle porte. Il mare/ non ride, mastica plastica a gambe per/ aria, l’ingoia;[…]”
È un mal di Sardegna aspro, spietato e coinvolgente, sia del Ciclista che della Bruxa, quello che affiora lungo un tragitto pregno di luoghi fisici ed emozionali nel contempo, arrivando a culminare nella pioggia finale. Ideatore e curatore di una rassegna poetica itinerante che, non a caso, negli anni passati ha attraversato l’Isola proprio in bicicletta, Ugo Magnanti ne è un profondo conoscitore e non è nuovo a una scrittura sull’argomento. Al contrario, Cristina Annino, purtroppo scomparsa lo scorso gennaio e tra i più importanti poeti della nostra epoca, non ha conosciuto direttamente la terra sarda, ma i suoi interventi nel melologo riescono a raccontarla in maniera efficace. Il mal di Sardegna di entrambi, dunque, trova così uno straordinario punto d’incontro in questo singolare e prezioso lavoro per il quale va un grato ed entusiastico plauso agli autori e a questa bella e interessante realtà editoriale che fa capo all’Associazione Culturale Fusibilia, con sede tra la provincia di Roma e quella di Viterbo (www.fusibilia.it).
Nell’insieme, si tratta di testi e recitazione di grande seduzione; un’opera, nella sua elegante versione di volumetto (impreziosito da una tavola dell’artista cagliaritana Stefania Sergi) e cd abbinato, da leggere e ascoltare, da riascoltare e rileggere ancora, alla scoperta di dettagli e significati via via nuovi, lasciandosi trasportare da una musica, quella del Maestro Ciotti, molto affascinante che ben si intona con gli scenari tratteggiati e sembra inoltre scandire il tragitto percorso dalle due ruote del nostro Ciclista essenziale. Un intenso viaggio poetico – e anche un atto d’amore nei confronti della terra attraversata – che non potrà non sorprendere sardi e non sardi.
Infine, mi sia consentita un’ultima, personale nota: da isolana emigrata quale ormai sono, mio malgrado, in questa nuova stagione della vita, in Ciò che l’Isola dice scorgo molto della mia Sardegna; ne avverto la maestosità millenaria e l’intima, meravigliosa essenza mediterranea nell’abbraccio di note e parole; sento di essa quel vivo respiro lungo afosi sentieri di polvere e pietre, nonché il palpitare di colori e suoni che è bello e rassicurante ritrovare quando si ritorna, ma che è sempre terribilmente struggente lasciare a ogni nuova partenza.
Melologo
FusibiliaLibri
2022
40 p.,