L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
Di Dominique Jacques
Prologo
Oggi è un giorno speciale: forse abbiamo trovato il posto ideale per la nostra ricerca.
Si tratta di un habitat che ha subito catturato la nostra attenzione per la strana coesistenza di parametri biomeccanici mai visti in natura e, di certo incompatibili con qualsiasi biosistema. Fenomeni che lasciano ipotizzare un mutamento così radicale della struttura cosmologica, da cambiare irreversibilmente l’avvenire della fisica. Fatte le dovute verifiche, alla fine la nostra intuizione si è dimostrata giusta. Abbiamo quindi convocato una riunione straordinaria del comitato. Le 15 menti più eccelse dell’odierno firmamento scientifico si sono sedute in cerchio nell’aula multimediale.
Ho chiuso la sala ermeticamente, acceso i led infrarossi, è apparsa un’immagine sullo schermo convesso.
“Signore e signori, vi prego, osservate attentamente”. Seminascosto nella penombra, assaporavo l’imminente rivelazione. Le nuche si sono protese in avanti in un unico movimento.
“Caro Bohr-Mulliken ≈12, non capisco – ha ringhiato il Rettore del dipartimento – È in vena di scherzi?”
Il monitor panoramico mostrava strade larghe, piuttosto malandate, sporche, case belle e brutte, gente mista.
“Il solito ghetto tutto rapina e spaccio, Mully?”
Ho ignorato lo scherno nella voce.
“Se dovevate fare pulizia – ha continuato un po’ irritato Feynman-Rutherford ≥ 22 – non occorreva né la nostra presenza né la nostra approvazione”.
“Non mi permetterei mai, esimio Rettore, di sprecare il vostro tempo.”
“Se non è il solito prodotto di sedimentazione storico sociale, cos’è?”
“Un buco nero, esimio Rutherford.”
Ho attivato l’evidenziatore.
“Un buco nero con tutti i crismi. E un piccolo particolare: brulica di vita.”
Ho approfittato dello stupore del comitato per annunciare:
“Come noterete, non abbiamo qui un processo di sedimentazione, ma di CRISTALLIZZAZIONE, dovuta a traslazione dei campi vettoriali in fase di collasso”. I sensori lampeggiavano, enfatizzando di rosso la mia affermazione.
“Ma è impossibile – ha mormorato Feynman-Rutherford ≥22 strisciando sul sedile ergonomico – Voglio dire, lei sa meglio di me che non può esserci vita in un buco nero, perché l’eccessiva gravità stritolerebbe i corpi.”
“Posso ricordarle, Rettore, che meno di dieci chronon fa, sembrava impossibile solo poterci sbirciare DENTRO perché non eravamo in grado di farlo? Ora ne vediamo uno pieno di esseri viventi interi e in perfetta salute. Questo significa che tipologie simili ci sono sempre sfuggite, o che per qualche motivo la vita è diventata compatibile con quelle particolari condizioni, per quanto appaia ancora meno probabile che farsi una settimana bianca su Marte.”
“Per i crateri di Fenrir – ha sospirato il grande ≥ 22 – Mi arrendo. Dobbiamo controllare, scoprire il perché di tale aberrazione e se si tratta di un caso isolato. Registri subito il progetto, formi una squadra, si scelga i migliori collaboratori”.
“Veramente, Rettore, preferirei portarne uno solo. In due potremo muoverci con più discrezione e velocità. Ho già in mente qualcuno, un astrofisico esperto di multiversi paralleli, perfetto per questo lavoro.”
“Posso sapere chi è?”
“Reissner-Nordstrøm ☼7, qui presente.”
Il comitato si è girato in blocco verso Nord ☼7 che pulsava di gioia e terrore sotto ondate di luce cremisi.
≥22 ha sospirato di nuovo, rassegnato. “Immagino di dovermi fidare, Mully. Lei sa quello che fa.”
“Non la deluderemo, Rettore.”
“Perfetto, attrezzate al più presto un laboratorio. Pretendo risultati. In fretta. Ci vediamo dopo.”
Sono usciti, lasciandomi solo col mio trionfo. È fatta, partiremo appena possibile, affinché questo posto possa diventare un paradigma nello studio delle fluttuazioni quantistiche. Potremo finalmente portare il nostro contributo alla storia dell’universo e spiegare al mondo come un mucchietto di cellule umane è riuscito a intrufolarsi in un imbuto spazio-temporale. E, perché no, fare un po’ di shopping e buttarci nella movida locale.
1 marzo
Che fosse speciale, questo posto, me lo sentivo. Barriera. Lo chiamano Barriera. Il mio fiuto di cacciatore di stelle non mi ha ingannato.
Siamo qui da ormai cinque settimane ed è tutto entusiasmante! Non ci divertivamo così da tanti chronon. Abbiamo gettato le basi della nostra ricerca. Gli autoctoni sono molto accoglienti e la convivenza piacevole.
Ci siamo insediati nelle vicinanze della piazza a forma di clessidra, risultata l’epicentro dell’attività elettromagnetica di Barriera, totalmente ignari del fatto che ospitasse un mercato che si animava alle prime luci dell’alba per svanire dopo mezzogiorno, effimero come un campo di meteore nell’ergosfera.
L’ impatto iniziale è stato un po’ traumatico. Appena usciti di casa con l’attrezzatura per i primi rilievi, siamo stati travolti dalla folla e convogliati da una corrente irresistibile lungo interi isolati di ferro e tela. Di nascosto, ho attivato il mio scanner tascabile, tenendolo davanti a me nella nostra deriva in mezzo alla tendopoli… Si sentiva solo la vocina elettronica sibilare: commestibile animale, commestibile vegetale, aminoacidi di gruppo B, peptidi, polisaccaridi, compromessa commestibilità, putrefazione in corso. Non commestibile organico, bicomponente acrilico, fibra vegetale, fibra di sintesi.
Abbiamo oltrepassato un piccolo gazebo dagli striscioni verdi. C’era scritto: GIÙ LE MANI DAL PAESE, ALTOLÀ ALL’INVASIONE ! M’è venuto un dubbio atroce. Che fosse rivolto a noi? È un terribile equivoco! Stavo per gridare. Ma scivolavamo già dietro un banco di cosmetici: idrocarburi toss… Ha gracchiato lo scanner prima che lo ammutolissi ricacciandomelo in tasca.
Un istante dopo ho sentito una madre sgridare il figlio che le sfuggiva: “guarda che questi ti rapiscono, lo sai che rubano i bambini”. M’è venuto il sospetto che parlasse di noi, ma guardava in un’altra direzione, verso due donne dalle ampie gonne colorate.
Ho controllato Nord che ciondolava sognante, incantato dallo spettacolo. L’ho bloccato in tempo prima che afferrasse una borsa Vuitton dall’asciugamano di un africano. “Fermo, collega, se si gioca fuori casa le regole cambiano. Qui le cose funzionano in un altro modo. D’accordo, mi sa che dobbiamo fare un po’ di pratica.”
L’ho portato davanti a un banco di frutta secca.
“Desidera?” Ha chiesto la commerciante armandosi di paletta.
Abbiamo letto un cartellino: noci di Sorrento, 1 kg/7 euro.
“Un chilo” ha risposto Nord.
“Eccezionali – ha assicurato la donna, riempiendo un sacco enorme a palettate – ma non siete di qui, o sbaglio?”
Ha posato il sacco sulla bilancia, il cui ago è andato giù di colpo. Ha aggiunto ancora una manciata di noci. “5 chili buon peso. Lascio?”
Solo ieri abbiamo finalmente capito come usare le noci. Le bruciamo nell’inceneritore a particelle. Scaldano e fanno un profumo delizioso.
Dopo l’esperienza del mercato, si è deciso di scandagliare sistematicamente l’isolato-campione da noi selezionato (5 km²). Abbiamo recensito un totale di: Autorimesse 12. Bar 25. Sale giochi 18. Ferramenta 15. Supermercati 9. Discount 6. ( LIDL, A&O, A&D, LD,TD e IN’S). Punti vendita prêt-à-porter di lusso: 0. Locali da divertimento per nativi nottambuli: 0. Pazienza.
I discount si sono rivelati per noi una miniera. Abbiamo scoperto un fertile terreno di osservazione, una terra franca dell’acquisto, dove vige un ferreo codice d’onore del consumatore. Nei normali supermercati, tra la gente in coda all’ora di punta, nascono lotte sanguinose per la supremazia, atavico ricordo di tempi non troppo lontani, in cui un attimo di distrazione dal proprio carrello faceva la differenza in termini di sopravvivenza. Abbiamo visto gare da infarto consumarsi tra i salumi e l’igiene personale fino al traguardo del nastro trasportatore, con brividi regalati da certe volate da fondo corridoio finite talvolta fuori pista nel muro dei surgelati, e non esenti da colpi bassi da parte di signore tracagnotte che, viste da dietro, sembrano cartoni da latte con gli orecchini. Nei discount, come su un’autostrada svizzera, ognuno procede sulla medesima corsia, a passo d’uomo, senza sorpassare, con dignità. Si attende pazientemente il proprio turno dietro a convogli di carrelli merci straripanti calorie per tribù con prole in piena crescita (mortadella tedesca in promozione, taniche di succo di mango, tacos messicani, marshmallows, pizze surgelate), quando non si tratta invece di nuclei monofamiliari focalizzati sull’acquisto seriale (cibo felino, alcolici o ancora generi dall’uso più misterioso come tappetini da auto). Certo che la gente è strana, ma detto fra noi, in un posto dove convive questo babelico campioncino d’umanità, senza parlare di squadre locali di basket, suore in missione per il convitto, ubriaconi, artisti del circo, finti poveri e disperati di ogni tipo, fa veramente piacere non essere additati quando si compra esclusivamente pile al litio e lubrificante per macchine. (La nostra camera di pressurizzazione cigola un po’) .
L’altro ieri, fierissimo, ho finalmente preso qualcosa da mangiare: olive ripiene e salatini. Abbiamo deciso di dare una festicciola per i nostri nuovi vicini. Alla cassa, nessuno ha fatto una piega.
10 marzo
La festa è stata un vero successo. Abbiamo mangiato e ballato, e sul più bello sono arrivati i vigili urbani chiamati dai vicini dei palazzi circostanti, perché tenevamo lo stereo troppo alto. Abbiamo dovuto interrompere, dopo aver provato inutilmente a corrompere tramite spumante i funzionari dell’ordine.
Due giorni dopo, i vicini esclusi hanno organizzato un karaoke micidiale, e noi del condominio abbiamo chiamato i vigili. Qui va così, se gli Africani suonano i djembé, gli Arabi si lamentano e gli Africani gridano al razzismo, se i bambini arabi giocano in cortile, i Pugliesi s’infuriano urlando a squarciagola di tornarsene a casa loro, abbastanza forte da coprire le canzoni di Gigi d’Alessio, particolarmente atroci per le orecchie degli Albanesi, che hanno invece l’hobby della meccanica e da mesi rodano il motore di una Citroȅn Xantia ferma sotto casa, sempre e solo dopo mezzanotte. Cosa che fa parecchio incazzare i Filippini, già alzati alle sei, ma capaci di estenuanti pomeriggi di feste familiari sopra la testa del pensionato calabrese, maniaco di bricolage, che fa vibrare il nostro muro lato est con i suoi macchinari, specie di domenica.
Chi non coglierebbe con gioia quest’opportunità di analizzare la convivenza di paradossi estremi, ossimori eclatanti, l’ombra e la sua luce, il tutto e il niente, il singolo e il suo doppio, prodotti di collisione cosmica presenti in qualsiasi modello di intervallo di Minkovski che si rispetti, ignorando superbamente qualche emicrania?
In un buco nero, la linea dello spazio-tempo che separa i punti da cui si può ancora osservare qualcosa da quelli dove più nulla è visibile, viene chiamata, come tutti sanno, orizzonte degli eventi.
In altre parole, l’orizzonte degli eventi può essere definito come una regione dello spazio-tempo oltre la quale cessa di essere possibile esaminare il fenomeno. Ovvero, Barriera, per l’esterno, resta un mistero inafferrabile.
Viene considerata dalla popolazione circostante una minaccia dalla quale stare alla larga, uno spauracchio consolatorio da evocare, il lupo delle favole che non esiste, o forse sì, ma comunque non da noi, pensano i cittadini là fuori. I giornali alimentano la leggenda con meravigliosi articoli di cronaca nera.
Nord e io li teniamo da parte. Abbiamo per esempio:
– Si fa prestare l’auto del suocero e va a rapinare una prostituta.
– Scippatore inseguito dai passanti si nasconde in un cassonetto.
– Straripa la fogna. Pantegane giganti invadono l’asilo-nido.
Cose del genere.
9 aprile
Le ultime settimane sono state dedicate all’analisi dei campi gravitazionali. Abbiamo fatto scoperte sorprendenti. Cosa succede di solito nei buchi neri? La materia è così concentrata che la velocità di fuga è pari o superiore a quella della luce. Lo sanno anche i bambini.
Qui dentro, per qualche motivo, il flusso di attività appare lentissimo. Perfino il traffico va a singhiozzo. Nella nostra via, nei giorni buoni, passano si e no sei veicoli l’ora. Questo non significa che le strade siano vuote, al contrario, una perenne doppia fila testimonia l’innata riluttanza dei residenti per la fretta negli spostamenti. Abbiamo persino sospettato che le macchine non si muovessero mai, ma dopo un paio di risvegli all’alba dovuti a furiosi strombazzamenti, ci siamo ricreduti: si muovono, eccome, forse con le fasi lunari delle maree, lasciando sul posto quelle che non ce l’hanno fatta, arenate come balene sulla spiaggia.
La vita, da queste parti, si svolge senza frenesia. A voler esagerare, si direbbe che nessuno abbia mai una vera destinazione. Quando usciamo dalla base, incontriamo di continuo conoscenti a zonzo per il quartiere, sempre disposti a attaccare bottoni senza fine ai nuovi arrivati. Si vedono commercianti trascorrere i pomeriggi davanti al proprio esercizio, mani in tasca e fischiettando, annoiati come comparse in lungometraggi audiovisivi d’intrattenimento. La gente sosta sui marciapiedi per ore a fumare fuori dai bar, a litigare appoggiata ai motorini, in una sorta di dilatazione del tempo che regala a tutti un fare sospetto.
Ma niente è mai come sembra, lo sa bene il ricercatore, abituato a scavare senza tregua la fossa delle proprie convinzioni. Noi, da piccoli, facevamo spesso quel gioco, con i compagni. Conti sul muro: uno, due, tre, stella, quelli corrono o saltano fulminei alle tue spalle, e per quanto cerchi di girarti abbastanza in fretta, non li becchi quasi mai. Qui, lo stesso. In un nanosecondo ti fanno il cappuccino, compilano la schedina, prendono i figli a scuola, senza dare l’impressione di essersi mossi.
Pensiamo si tratti di un effetto prospettico, una deformazione. Il rallentamento dinamico sarebbe percepibile solo dall’osservatore esterno, mentre i soggetti osservati non ne hanno assolutamente coscienza.
Detto questo, non possiamo dilungarci troppo in giro a parlare di tutto e di niente, e abbiamo adottato provvedimenti di sicurezza. Certo, per noi è più difficile passare inosservati, anche se di gente strana non ne manca. Per fortuna, la tecnica è ancora dalla nostra parte, e i rilevatori infrarossi funzionano benissimo qui come da noi.
Dobbiamo restare concentrati, procedere con ordine e metodo. Motivo per cui stiamo adesso orientando i nostri sforzi sull’analisi del suolo, non solo per evitare le deiezioni canine spiaccicate ovunque per strada. Quindi, testa china, sguardo vigile, fazzoletto pronto. Il popolo canino meriterebbe un capitolo tutto suo, e rimpiango molto di dovermi limitare a certi aspetti del lavoro, quando in gioventù ho studiato genetica.
Ora, diamo un’occhiata al terreno. Ricorda niente? Spaccamenti tellurici, crateri nerastri, bolle, schiacciamenti? Ovviamente, Enceladus, una delle piccole lune di Saturno! Fu Barriera vittima di violente tempeste solari come Enceladus? Quelle cicatrici furono provocate da meteoriti?
Nord propende per l’esistenza di qualche forza di gravità sotterranea, tipo calamita gigante, il che spiegherebbe l’incredibile quantità di materia sparsa e spaccata in giro. In particolar modo durante la notte spuntano le formazioni più bizzarre dal sottosuolo, pile di cartoni, materassi, a volte interi tinelli, sconvolte da un’irresistibile quanto invisibile forza centrifuga.
Tutte balle. So tutto. A volte, meglio un unico infiltrato che dieci rilevatori di Kaluza-Klein. Mi ha informato un vicino del cortile sud. Pugliese. Un magnifico esemplare di nativo locale. Gira voce che non sia mai stato in Centro. Un mito. I cartoni? Li lasciano i cinesi all’alba prima di trasportare tonnellate di merci d’importazione al mercato. I tinelli? L’ultimo trasloco della famiglia romena del primo piano. La centrifuga? Una sistematica strategia di riciclo dove tutti trovano pane per i propri denti. Passano ragazzi rom su biciclette trainanti carretti, punkabbestia con i cani, compaiono pensionati furtivi dal cacciavite lesto, passano bambini a salvare aerei rotti. E, non dirlo a nessuno, abbiamo tirato su due poltrone di velluto come nuove.
I crateri sulla strada restano, fumanti per giorni, in seguito al falò di qualche macchina, e, quando c’è magra, qualche scooter. Le crepe? Scarsa manutenzione. Et voilà! Si chiama Street Culture, il segreto è sapersi mimetizzare e usare gli occhi.
Siamo coscienti del fatto che tale documentazione escluderà, senza margine di dubbio, per gli scienziati di domani, l’ipotesi di qualunque attività vulcanica in Barriera.
15 maggio
Sono preoccupato per Nord. È cambiato. Abbiamo dovuto allenarci parecchio e tenere un profilo basso per non dare nell’occhio, ma comincio a temere che il suo interesse non sia solo d’ordine scientifico.
Ha partecipato a 5 feste dei vicini, è in grado di cucinare un discreto yassa poulet, fa la puja a Ganesh al mattino, studia calligrafia cinese. Il suo entusiasmo non mi è parso finto. Passa troppo tempo fuori a parlare. Ozia.
Temo di trovarmi davanti a un caso di sindrome di Zelig-Allen, come in questa pellicola d’intrattenimento sui tuffatori, vista tanti chronon fa su 8 Pus¬. L’attore, il tizio campione d’apnea, comincia a provare troppo gusto nel frequentare gli abissi, e sostanzialmente preferisce la compagnia dei delfini a quella della fidanzata. Come finisce, male, ovviamente. Un bel giorno, travolto dall’euforia, non risale più in superficie.
Incrociamo le estremità. Manca poco e ce ne andiamo. Direzione 8 Pus¬, con tutto il materiale raccolto, una valanga di dati, e, purtroppo, ancora troppi punti oscuri.
Ma per tornare ai campi gravitazionali, siamo passati all’analisi di quello verticale. I risultati sono sconvolgenti. L’altezza è al 100% congeniale al barrierante. Il suo habitat naturale non è l’appartamento, bensì il balcone, o come lo vogliamo chiamare, terrazzo, veranda, ballatoio, attico. L’equilibrio stupefacente raggiunto dalle costruzioni autoctone ha una spiegazione: il gravimetro di Lacoste- Romberg conferma l’assenza totale di pesantezza. Parabole in bilico su credenze Luigi-Filippo tenute su da tavole da surf poggiate su televisioni non funzionanti, ma RIPARABILI. Piante, tappeti, canarini, tavoli da ping-pong. Acquari. Barbecue. Tutto l’occorrente per la vita, alba e tramonto, mare e monti, estate, inverno.
L’altra sera, la nostra attenzione è stata richiamata dalla voce stentorea del dirimpettaio, piazzato, manco a dirlo, fuori con la figlioletta di sei anni. Cantava: “Siam venuti fin qua, Siam venuti fin qua, Per vedere segnare Kakàaaa”
Poi si è raschiato la gola. “Su, adesso, vediamo la formazione, come ti ha insegnato papà. E non si mangia finché non la sai tutta. Numero 92? ”El Shaarawy!” Ha urlato la bambina. “Numero 18?” Silenzio. “Montolivo, e non fartelo ripetere!” Come dice Nord, quella sì che è educazione.
Questo dà la misura della simbiosi fra barrierante e il proprio davanzale, e sopratutto quando si parla di fede calcistica, non ci sono più santi, sono tifosi tutti. Tifoso il filippino, tifoso l’albanese, tifoso l’indiano, il peruviano, il calabrese. Ognuno piazza il vessillo nazionale in bella vista tra i gerani, ed è così che abbiamo scoperto che l’intera ala est del quinto piano batte bandiera brasiliana, quando per poco non è venuta giù al quarto gol segnato nella finale di coppa.
9 giugno
Per mesi abbiamo misurato massa, carica elettrica, intensità luminosa, onde acustiche, temperature, per mesi abbiamo incrociato formule apparentemente semplici senza trovare soluzioni. Un rompicapo non meno esasperante di un cubo di Rubik. Abbiamo sperimentato tutte le possibili combinazioni tra le 3 coordinate spaziali e quella temporale che definiscono il buco nero. Risultato zero. Mancava sempre qualcosa. Così, quasi per gioco, abbiamo provato ad aggiungere una quinta dimensione, quella umana.
Era la mossa giusta. Finalmente si incastravano tutti i parametri. 5 dimensioni indissociabili che stabilivano un concetto spaziale inaudito. Avevamo definito un modello che sarebbe servito, d’ora in poi, per riconoscere, catalogare, studiare qualsiasi struttura cosmica con le stesse caratteristiche. Un gioiellino. Avevamo teorizzato il buco nero abitato. Sognavamo già la gloria. Come l’avremmo chiamato? Soluzione di Bohr-Mulliken-Reissner-Nordstrøm-≈12-☼7?
Abbiamo rifatto i calcoli, per sicurezza, e ottenuto un risultato diverso. Abbiamo ricominciato, il risultato era ancora un altro. Abbiamo ritentato fino all’esaurimento. Quel che doveva restare costante e costituire le fondamenta di una nuova realtà fisica, alla stregua di un’equazione, cambiava radicalmente ogni volta, diventando un insieme di fattori grotteschi e privi di senso. L’elemento umano mutava sistematicamente, distruggendo senza pietà le nostre speranze. Dopo settimane insonni, terminate le scorte di Moment del laboratorio, ci siamo arresi.
La dimensione umana non permetteva una sintesi definitiva.
Alla fine, l’ho presa con filosofia. Non lo considero un fallimento, tant’è vero che nella storia della ricerca, la lista dei nomi degli studiosi che hanno intuito la scoperta senza riuscire a dimostrarla, indicando la via ai posteri, è più lunga di una costellazione di luglio. In ogni caso, il nostro tempo è scaduto, la nostra missione conclusa, e dobbiamo tornare indietro. Partiremo questa notte. Decolleremo dalla piazza a forma di clessidra prima dell’alba. È tutto predisposto, sabato sera, domani non c’è mercato. Abbiamo dato una festicciola per salutare per bene i nostri amici e vicini. Un successone. Ho temuto crollasse il balcone. Abbiamo grigliato wȕrstel comprati all’INS e bevuto mojitos.
All’una in punto sono arrivati, chiamati dai vicini non invitati, i vigili tutti sorridenti. Ormai ci conosciamo, hanno perfino accettato due dita di spumante.
Più tardi, commosso, ho salutato il mio amico nativo pugliese, il mio faro nella conoscenza di Barriera. Era commosso anche lui. “Mi mancherete parecchio – mi ha detto – nonostante vi abbia sempre trovato un po’ strani, voi due.”
D’istinto, ho cercato d’infilare i tentacoli dentro le maniche per nasconderli alla vista.
Mi ha guardato di sottecchi. “Ma… non è che te e Nord siete gay?”
11 giugno
Un disastro. È successo un finimondo. Ho perso Reissner-Nordstrøm☼7. Ancora non riesco a credere che sia accaduto veramente. Era solo ieri. La giornata più lunga della mia vita.
Alle 5 in punto eravamo in piazza, dove era parcheggiata la sonda spaziale, nascosta sotto un telo. Avevamo addosso le tute di protezione. Ci siamo seduti ai nostri posti. Ho cominciato a impostare i comandi. “Dì ciao a Barriera”. Ho detto scherzando. Nord ha agitato i tentacoli con l’aria triste, e nello stesso momento, la capsula ha preso a vibrare con violenza. “E questo cos’è?” Ho spento i sensori, li ho riaccesi, le vibrazioni sono ricominciate più forti, mentre le pareti di titanio si offuscavano per la condensa.
“Per i ghiacci di Perseo! – ho sbraitato – spegni il computer centrale! Ci fondiamo il sistema! Procurami del plutonio, subito!”
Nord ha sospirato: “Non siamo su 8 Pus¬, è sabato notte, niente plutonio.”
Esterrefatto, ho provato a reimpostare i dati. La macchina ha emesso un fischio stridulo da pentola a pressione, poi si è spenta. Avevamo fuso i propulsori ionici. Com’era possibile? Avevamo revisionato ogni programma, ispezionato ogni bullone. “Non perdiamo tempo, Nord, ripariamo questa bagnarola.”
Ci siamo messi all’opera. La cosa era seria. È spuntato un altro giorno, subito pallido e fresco, poi, verso mezzogiorno, più arroventato di un deserto su Mercurio. Una bollente domenica di giugno. Continuavamo a trafficare attorno ai propulsori e le ore passavano troppo in fretta. Eravamo ufficialmente in ritardo. Per fortuna, non si vedeva anima viva. Sudavamo nelle nostre tute da viaggio.
“Sbrighiamoci, dobbiamo schizzare via da questo maledetto buco nero prima della notte.”
“Ecco fatto – ha detto Nord tirando fuori la testa – guasto sistemato!”
Erano quasi le nove di sera. La luce era già calata. Ho notato qualcosa muoversi laggiù, all’estremità della piazza, una fila di gente, carica di casse. “E adesso, che succede? Va’ un po’ a vedere, ☼7.”
Stavano montando rapidamente dei tavoli, e qualcos’altro di più voluminoso in mezzo. Uno schermo.
È tornato Nord. “Cinema all’aperto, capo. Stasera, c’è un film cileno.”
Evviva, il miglior modo possibile per andarsene alla chetichella. “Capo, già che siamo qua, non potremmo guardarlo, il film?” Gli ho lanciato un’occhiata che avrebbe fatto evaporare un venusiano all’istante. Stavano arrivando vari camioncini dalle strade laterali. Nord annusava l’aria come un setter da riporto. “Hum, tajine… samosa…enchilladas…Io, un languorino, ce l’ho.” “Se ci provi, ti squamo con un pelapatate.” Mi sarei venduto un satellite per una birra fresca, ma non potevo. Su 8 Pus¬ mi avrebbero disintegrato.
Un colpo sull’oblò mi ha fatto girare la testa. Un poliziotto.
“Patente e libretto! Non può stazionare qui! Muoversi, muoversi!”
”Mi dispiace, agente, la macchina non parte, sono fermo!”
“Allora chiamo il carro attrezzi”. Ha parlato nel walkie-talkie. Eravamo fritti.
Nello stesso momento, ho sentito in lontananza una musica ritmata in sottofondo da tamburi. La banda. Un secondo più tardi è comparso un lungo corteo, con in testa quattro uomini, che portavano su un’asta un’icona più alta di loro. Subito dopo venivano il prete, il vice-sindaco con la fascia, e l’assessore.
“La Madonna di Ripalta” ha mormorato qualcuno.
La processione si è snodata su tutta la piazza, tagliando in due una partita di pallone improvvisata tra i bambini del quartiere, un bolide deviato è finito sui tavoli dov’era in corso un appassionato torneo di burraco. Il corteo, imperturbabile, ha intonato: “Ave Maria, gratia plena”, fendendo un folto gruppetto di ballerini di liscio.
Stavo scaldando l’endoreattore quando qualcosa ha urtato il soffitto. Ho guardato fuori. Era arrivato il carro attrezzi, faceva oscillare il gancio di traino sopra le nostre teste. Stavano cercando di prenderci all’amo. A questo punto, mi ci voleva un miracolo. Il fiato sospeso, ho spinto il pulsante d’accensione.
“Benedicta tu in muliéribus” salmodiava il prete al ritmo martellante del mio battito cardiaco. Gli schermi si sono illuminati bruscamente tutti insieme. ” Miracolo ! – ho esultato – E se veramente fosse stata…?” Ho ringraziato mentalmente la madonna di Ripalta. Tanto, non mi sentiva nessuno, e poi, non si sa mai nella vita…
In quel preciso momento hanno cominciato a spararci.
“Tieniti, collega! Scappiamo da questo manicomio! Nord?”
Mi sono girato, e reso conto che i botti non provenivano da nemici armati, ma da fuochi d’artificio che venivano sparati talmente bassi che scoppiavano una volta sola, prima di venire soffocati dal fumo, e ricadere sibilanti sulla gente. Il panico è dilagato sulla piazza. I danzatori di tango sono andati a cozzare contro il telone del cinema, gli spettatori hanno cominciato a gridare, rovesciando le sedie.
Strillavo anch’io, senza averne coscienza, non controllavo più niente, mi lacrimavano gli occhi. Dieci secondi di più e sarebbe stato troppo tardi. Dovevo alzarmi da terra. Mi sono accorto che Nord non era al mio fianco. All’improvviso, l’ho visto dietro al vetro dell’oblò, ilare, sporco di fuliggine. Era evidente, non si era mai divertito tanto. Ha articolato parole senza suono che ho letto sulle sue labbra, muto di terrore: “Questo è il mio posto. Io resto qui.” “Rientra subito, è un ordine, il processo di avviamento è irreversibile!” Ma quel cretino era già scomparso tra la folla.
La capsula ha oscillato sulla base, e ho dato gas. Ho accelerato a fondo. Inchiodato al sedile dalla spinta, boccheggiavo in preda alla nausea. Il frastuono ha raggiunto un’intensità insostenibile, lacerandomi i timpani. Ho guardato giù, verso la piazza dalla quale avevo temuto di non venire più fuori, e invece aveva inghiottito Nord.
C’era una confusione generalizzata di fuochi accesi qua e là, umani accecati dal fumo che scrutavano il cielo, bocca spalancata, incapaci di metabolizzare la visione di un razzo cosmico di ultima generazione che spariva rapidamente nella notte, seguito da una scia fosforescente. Ho tentato di individuare il mio amico, e forse stava ballando laggiù, vicino allo stand degli hot-dog. Poco dopo, la scena non era più che una danza di batteri attraverso la lente del microscopio. Poi il nero, un buio oceanico, poi le prime stelle. Ero di nuovo in viaggio, alla guida del mio modulo di titanio, diretto verso casa. Solo.
Continuavo ad arrovellarmi, a chiedermi perché il mio amico avesse rinunciato a una brillante carriera scientifica, perché avesse scelto di lasciare 8 Pus¬, il nostro pianeta perfetto, funzionante, armonico, privo di pericolosi imprevisti.
Quel che ci avrebbe riservato Barriera, non lo potevamo immaginare.
Ora, dopo 3 mesi di ricerche, ne sappiamo più di un nativo. Nell’arco della giornata, poteva succedere di tutto: la chiacchierata dal giornalaio che ti accoglieva con un caffè, uno sconosciuto che ti riparava sotto l’ombrello alla fermata del bus, il godersi il tepore di un crepuscolo di primavera seduti per strada con altri come te, smascherati, stanchi, uguali. Rincasare al buio incontrando solo gatti, scivolare sull’asfalto sporco, un commento malevolo, un bar rapinato di notte, cose che stridevano, insomma.
Però vivere lì era come innamorarsi, trovare fratelli, deporre le armi. Come i detriti spaziali, agglomerandosi fra loro diedero vita ai più splendidi corpi celesti, così Barriera, con le sue innumerevoli imperfezioni, ha creato uno spettacolo unico. Barriera ti atterra con la sua bellezza guasta, la sua luce struggente da diamante incrinato, ti risucchia e non ti lascia più andare.
E di colpo ho capito. Il buco nero. Non era da spiegare, non era da dimostrare, era anomalo, incompiuto, stupendo, questo aveva cercato di dirmi Nord. Scomparendo, ci regalava il mistero, l’infinito delle possibilità, la vita. Il fattore umano.
Su 8 Pus¬ nessuno prova dolore. Nemmeno io mi commuovo facilmente. Sto bene, solo questo nodo alla gola che non si scioglie. Mi manca ☼7.
Ma poco a poco affiora in me, nitida, irresistibile, l’immagine di lui che apre il giornale alla cronaca cittadina al mattino, e ne legge il titolo.
“Notte di follia in Barriera: avvistato ufo in piazza. Alieni seminano il panico nella processione.”
L’immagine di copertina è di Dalì, 1931. Foto presa da margutte.com