Mio fratello che guardi il cielo
Di Geraldine Meyer
Giornalista, saggista, esperto di servizi segreti, Giorgio Boatti ha scritto pagine importanti sua storia del nostro paese. Dalla strage di Piazza Fontana al terremoto di Messina, dalla storia dei dodici professori che rifiutarono il giuramento al regime fascista all’Italia che scopre e riscopre l’agricoltura. Fino ad arrivare al bellissimo Sulle strade del silenzio. Viaggio per monasteri d’Italia e altri spaesati dintorni. Quest’ultimo testimone di un percorso e di una elaborazione di vita e testi religiosi, seduto sulla sponda di un aperto laicismo. E di questo testo molte sono le suggestioni e le “pietre d’inciampo” presenti in questo doloroso, lucido e soffuso di grazia Abbassa il cielo e scendi. Suggestioni che ci parlano fin dal titolo, un salmo, come dai salmi sono i titoli di tutti i capitoli di questo libro. Il perché, in un certo senso, lo spiega lo stesso Boatti sul suo profilo Facebook (che, tra le altre cose, consigliamo di seguire) quando scrive: “[…] il titolo pare sia stato apprezzato e mi si chiede da dove…scenda. Ecco, come tutti i capitoli del libro, è tratto dal testo dei salmi che ad ogni generazione, ad ogni travaglio, danno voce a pensieri che sono di ogni tempo, di ogni persona – credente o non credente non importa – in cammino dentro le asperità del proprio presente.”
E qui il travaglio è quello di Bruno, principalmente, ma anche della sua famiglia e di Boatti stesso che di Bruno era (è) il fratello. Perché nella Lomellina di decenni fa, tra rogge, risaie, canali, piccoli paesi di fatica e nebbia, Bruno sente le voci. Bruno è schizofrenico e la malattia mentale irromperà ed esploderà tra le mani di suo padre e sua madre e, a un certo punto, anche tra quelle di suo fratello. Esploderà con la violenza di un vetro rotto, le cui schegge saranno la fragilità, e anche la vigliaccheria forse, di chi per paura e non certo per cattiveria, resterà immobilizzato e confuso, oppure in fuga, davanti a ciò con cui non si sa comunicare.
“Perché la schizofrenia – scrive Boatti – rende chi la patisce ma anche chi gli sta accanto immensamente distanti. Dalla realtà. Gli uni dagli altri. Da quello che siamo. Lontano soprattutto, da come avremmo voluto essere.”
E allora Abbassa il cielo e scendi diventa subito la testimonianza dell’inizio, dei primi passi, spaventati e riottosi, di “quell’amaro calice” che per il narratore sarà il divenire fratello di Bruno, ben oltre e ben al di là del legame di sangue. Attorno a loro la Guerra Fredda, l’Italia che si inurba lasciando le campagne per le città di fabbriche, la Primavera di Praga, gli anni della tensione e, soprattutto, la psichiatria dei manicomi, materializzazione architettonica della segregazione, della freddezza e dell’arroganza che cataloga senza ascoltare, i centri di igiene mentale, le luci fredde e l’umanità dolente di un pronto soccorso. E poi il soffio vitale della brezza basagliana, piccole tregue, che sono l’arte di comprendere che, comunque, ci sarà un approdo.
La storia di Bruno ci viene raccontata nel corso degli anni. “Una vita luminosamente miserabile – scrive Boatti – Una vita sciaguratamente sublime.” Quel fratello che aspira alla santità e, per questo entrerà in seminario per un po’. Quel fratello che sente le voci, che vede e forse prevede, che scrive ai potenti della terra, che guarda, chissà, ciò che noi altri non guardiamo. Sempre più solo, sempre più lontano. E poi l’altro fratello, quello che ci racconta questa storia, e il suo trovarsi a prendersene cura, senza sapere come. Perché le cose non si sanno prima e, forse, il percorso è proprio nelle domande che ci si fa in frangenti come questo, in quelli che Boatti stesso chiama “i passaggi stretti della vita”.
Un libro dolorosissimo, aspro nella genesi presumibilmente, retto da una scrittura tanto soave nella forma quanto di cartavetrata nei contenuti. Eppure, come dicevamo all’inizio, soffuso di grazia. La grazia che viene dall’indulgenza verso le cose del mondo e che arriva dopo una non immune dal travaglio attraversata delle cose stesse. Un libro che è un invito a prendersi cura dei tanti Bruni (sono parole dello stesso Boatti) che sono intorno a noi, quelle pietre scartate da cui tutto può ricominciare anche quando finisce, come scrive l’autore: “Mi ritorna in testa quel pensiero di prima: la vita ci passa accanto ma il più delle volte non la riconosciamo. Non ci mettiamo al suo passo. La scorgiamo solo di spalle. Magari, prima di ogni concludersi, è proprio vero che tutte le cose oscillano, ancora sospese nel loro accadere.”
Scrittori italiani e stranieri
Memoir
Mondadori
2022
259 p., rilegato